“Signora, lei è stressata, deve rilassarsi un po’”. Il più delle volte è questa la risposta che si sente dare la persona con sindrome del colon irritabile. Ora è fuor di dubbio che chi soffre di questa condizione tende a dar segno di ansia, ha un tono dell’umore depresso e perde con facilità la calma. Come si fa però a stabilire chi è venuto prima, se l’uovo o la gallina? Come si fa a capire se il tono depresso è la causa oppure la conseguenza di un intestino irritabile? E soprattutto come si fa a trovare una soluzione… perché tra le cose che il paziente si sente più spesso dire c’è anche questa: “Si rassegni, lei non guarirà mai!”.
La sindrome dell’intestino irritabile: cosa sappiamo già
La sindrome del colon irritabile (o IBS, Inflammatory Bowel Syndrome) è una malattia funzionale caratterizzata da dolore addominale ricorrente associato ad alterazioni del ritmo intestinale (diarrea, stipsi o alvo alterno). L’espressione “malattia funzionale” sta ad indicare il malfunzionamento dell’intestino anche in assenza di lesioni fisiche. La prevalenza globale di IBS è di circa l’11% e le donne sono più coinvolte degli uomini. Il processo diagnostico richiede dapprima l’esclusione di altre malattie note (vedi celiachia o Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali).
Nel 2016, in occasione di una Consensus Conference tenutasi a Roma, sono stati ridefiniti i criteri per la diagnosi di IBS (Criteri di Roma III). Il medico potrà fare diagnosi di IBS se i tre seguenti criteri vengono soddisfatti:
- il paziente ha sofferto di sintomi funzionali durati almeno tre giorni nel corso degli ultimi tre mesi;
- i sintomi sono comparsi da almeno sei mesi;
- il dolore che è correlato
- alla defecazione,
- ad un cambiamento nella frequenza dell’evacuazione,
- e infine ad un cambiamento nella struttura delle feci.
Gli individui con IBS sono ulteriormente classificati in base alle dinamiche dell’alvo. Si parla allora di:
- IBS sottotipo costipazione (IBS-C),
- IBS sottotipo diarrea (IBS-D),
- IBS misto,
- e IBS non classificato.
L’IBS è un disturbo complesso ed eterogeneo e la sua patogenesi differisce da individuo ad individuo. I fattori che possono portare allo sviluppo di questa condizione includono:
- storia di infezione enterica,
- modificazioni nel microbiota intestinale,
- immunomodulazione,
- cambiamenti nella sensibilità e motilità viscerali.
Va detto comunque che, nonostante decenni di ricerca, gli specifici percorsi meccanicistici coinvolti nello sviluppo dell’IBS iniziano solo ora ad essere compresi. In alcune sottopopolazioni di pazienti con IBS è stata osservata l’associazione con un’anomala crescita di batteri nel piccolo intestino (si parla in tal caso di SIBO, Small Intestinal Bacterial Overgrowth). Si ritiene che il microbiota intestinale sia in grado di alterare la permeabilità della mucosa, di condizionare la motilità e la sensibilità viscerali e di interferire con il processamento del cibo, tutti fenomeni che hanno a che fare con l’IBS.
Microbiota intestinale e IBS
Il termine “microbiota intestinale” rappresenta la totalità dei microbi che abitualmente vivono nel tratto gastroenterico. Fin qui si è a più riprese affermato che nel nostro corpo ci sono 10 volte più cellule microbiche rispetto alle cellule umane. In realtà studi più recenti contestano quest’affermazione. Quale che sia la verità sta di fatto che all’interno del tratto gastrointestinale si trovano diversi trilioni di microbi e che questa comunità svolge un ruolo centrale nel mantenimento dello stato di salute sistemico. Numerosi studi hanno dimostrato che nei pazienti affetti da IBS vi è un alterato microbiota intestinale. Così ad esempio, rispetto agli individui sani, la mucosa duodenale dei pazienti con IBS ha mostrato una numerosità significativamente più bassa di Bifidobacterium catenulatum. Inoltre, l’evidenza scientifica dimostra che i pazienti con IBS presentano un deficit dei generi Lactobacillus, Bifidobacterium e Faecalibacterium prausnitzii se confrontati con gli individui sani.
Gli aspirati fecali di pazienti con IBS, una volta applicati sulla mucosa colonica dei topi, hanno portato ad un aumento della permeabilità intestinale (condizione nota come leaky gut syndrome). Allo scopo di dimostrare lo stretto legame esistente tra microbiota ed IBS si è fatto ricorso ai topi germ-free o gnotobiotici. Nati da parto cesareo e allevati in ambiente sterile i topi germ-free sono, come dice il termine, privi di batteri. Se prendiamo il microbiota fecale dei pazienti con IBS e lo trapiantiamo nell’intestino di topi perfettamente sani (anche se privi di germi) questi andranno incontro ad alterazioni nella motilità gastrointestinale e soffriranno a causa dell’aumentata sensibilità alla distensione delle pareti coloniche.
Si è visto poi che i pazienti con IBS hanno più Toll-Like Receptors (TLRs) rispetto agli individui sani. Si tratta di particolari recettori espressi soprattutto sulla membrana di cellule sentinella come i macrofagi e le cellule dendritiche. I TLRs sono in grado di riconoscere alcune strutture tipiche dei microrganismi patogeni e per questo motivo fanno parte della superfamiglia dei “recettori che riconoscono profili molecolari” (o Pattern Recognition Receptors o PRR). Il patogeno, superate le barriere anatomiche (vedi la cute o la mucosa intestinale), penetra nell’organismo ospite e viene riconosciuto grazie ai TLRs che attivano le risposte immunitarie proprie delle cellule sentinella.
Così ad esempio il TLR-4 rileva la presenza del lipopolisaccaride (o LPS), un componente della membrana cellulare dei batteri Gram-negativi. Attraverso intricate vie di segnalazione, l’esposizione all’LPS può portare ad un aumento della produzione di citochine pro-infiammatorie.
IBS e gastroenteriti
Una revisione sistematica della letteratura scientifica ha dimostrato che che una malattia gastrointestinale acuta è in grado di aumentare il rischio di IBS di ben 7 volte. Si parla in tal caso di IBS post-infettiva (PI-IBS).
IBS e FODMAP
Il cibo rappresenta uno dei principali fattori coinvolti nella patogenesi dell’IBS. La maggior parte dei pazienti va incontro ad un’esacerbazione dei sintomi quando vengono assunti determinati alimenti. La dieta FODMAP è stata sviluppata da due ricercatori australiani, Peter Gibson e Sue Sheperd, che lavorano presso la Monash University of Melbourne. FODMAP è un acronimo che sta per:
- Fermentable,
- Oligosaccharides, si tratta di catene di zuccheri (fruttani, galatto-oligosaccaridi) presenti soprattutto in certe verdure, legumi e cereali;
- Disaccharides, formati da una corta catena di due zuccheri (vedi il lattosio formato da galattosio e glucosio),
- Monisaccharides, vedi fruttosio.
In sostanza i FODMAP sono delle piccole molecole consumate in grande quantità nell’ambito di una dieta ordinaria. Quando giungono nell’intestino attirano l’acqua per osmosi e ciò, nei soggetti sensibili, può provocare diarrea. D’altro canto la fermentazione batterica degli oligosaccaridi in anidride carbonica ed idrogeno può portare a sensazioni di dolore e gonfiore. L’idrogeno e l’anidride carbonica possono, inoltre, essere usati dal Methanobrevibacter smithii (un Archea) per formare metano. Si ipotizza che il metano possa rallentare la motilità del tratto gastrointestinale causando a sua volta stitichezza.
IBS e rifaximina
Uno dei trattamenti più studiati per l’IBS è quello a base di rifaximina, un antibiotico non assorbibile. Questo farmaco è disponibile in Italia dal 1987 e negli Stati Uniti dal 2004. Sebbene l’esatto meccanismo d’azione non sia del tutto chiaro, sappiamo che la rifaximina è una molecola solubile nella bile con proprietà battericide sia a carico degli organismi aerobici che di quelli anaerobici. I pazienti trattati con rifaximina riferiscono evidenti miglioramenti (minor gonfiore addominale, riduzione del dolore addominale e aumentata consistenza delle feci). Tra gli effetti collaterali vengono riferiti mal di testa, infezione del tratto respiratorio superiore e dolore addominale. Il miglioramento generale dei sintomi persiste per almeno 10 settimane dopo il trattamento, suggerendo che un singolo ciclo di rifaximina è in grado “ripristinare” il microbiota intestinale nativo.
IBS, Metanobrevibacter smithii e metano
SYN-010 è un derivato non assorbibile della lovastatina lattone 3-idrossi-3-metilglutaril-coenzima A reduttasi; questa formulazione a rilascio modificato è pensata per diminuire la produzione di metano bloccando la biosintesi della membrana cellulare di M. smithii, un Archea produttore di metano predominante nel tratto gastrointestinale dell’uomo. In uno studio di fase 2, 62 pazienti con IBS-C ed elevati livelli di metano sono stati trattati per 4 settimane con 21 mg di SYN-010, con 42 mg e con placebo una volta al giorno. Dopo 1 settimana, solo la dose più alta di SYN-010 ha ridotto significativamente i livelli di metano rispetto al basale. Dopo 4 settimane di trattamento, i pazienti in entrambi i gruppi che avevano ricevuto il farmaco presentavano livelli significativamente inferiori di metano respiratorio rispetto al basale, mentre i pazienti nel gruppo placebo non avevano avuto alcun miglioramento.
IBS e immunoglobulina bovina derivata dal siero
L’immunoglobulina bovina derivata dal siero (SBI) è stata approvata dalla Food and Drug Administration come alimento medico da prescrivere ai pazienti con IBS-D. SBI può, in teoria, aiutare a mantenere un normale microbiota e a diminuire la permeabilità intestinale. Sarà tuttavia necessario dare seguito ad una più ampia sperimentazione clinica.
IBS: prebiotici, probiotici e simbiotici
Prebiotici, probiotici e simbiotici possono alleviare i sintomi dell’IBS mediante la modulazione della composizione e dell’attività microbica intestinale. I prebiotici hanno dimostrato effetti antinfiammatori, agendo in modo da inibire l’adesione dei patogeni all’epitelio gastrointestinale e stimolando la sintesi dello strato mucoso che riveste la mucosa.
I probiotici sono microrganismi viventi ingeriti sotto forma di alimenti e supplementi. Numerosi studi hanno suggerito che l’uso quotidiano di probiotici può migliorare i sintomi dell’IBS. Sebbene l’esatto meccanismo di azione mediante il quale i probiotici modulano il microbiota intestinale non è ancora chiaro, sappiamo che impediscono la colonizzazione da parte dei batteri patogeni. I probiotici, una volta attecchiti nell’intestino, producono batteriocine e stimolano gli enterociti a produrre defensine capaci di degradare le tossine batteriche e di attivare il Sistema Nervoso Enterico. Il genere Bifidobacterium sembra essere il più utile nel trattamento dell’IBS.
I simbiotici, in ultimo, sono combinazioni di probiotici e prebiotici.
Conclusioni
È evidente che ci troviamo in una fase ancora iniziale nella comprensione di una malattia piuttosto complessa. Le proposte terapeutiche sono da verificare nel lungo periodo. Così ad esempio in merito alla dieta FODMAP si va facendo strada il timore che questa possa contribuire, nel lungo periodo, ad aggravare la disbiosi. Un microbiota sano è infatti un microbiota vario, ma la variabilità delle specie microbiche residenti risente della variabilità del nostro regime alimentare. Limitare l’assunzione di frutta, verdura, cereali, legumi significa ridurre drasticamente l’apporto di fibre alimentari aventi un’azione prebiotica (favorente la crescita batterica).
Per questo gli esperti parlano di una fase di reintroduzione dei FODMAP:
Dopo aver seguito la fase 1 (di eliminazione dei FODMAP) per un periodo sufficientemente lungo da non avere più sintomi (2-4 settimane) si può iniziare la fase 2 che prevede i test di reintroduzione dei FODMAP. È essenziale introdurli uno alla volta per identificare con precisione quello o quelli che vi creano problemi, così come le quantità che ne tollerate. Questo procedimento si chiama “sfida alimentare” o “test del consumo“. (Cinzia Cuneo – La dieta FODMAP).
Il mio consiglio è quello di non prendere le cose troppo alla leggera, consapevoli che l’alimentazione decide una buona percentuale del nostro stare in salute. Riferitevi, dunque, ad un professionista della nutrizione che vi possa orientare a fare le scelte giuste.
(Docendo discitur – gli uomini imparano mentre insegnano)
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