Ci hanno insegnato per anni che sovrappeso e obesità derivano da uno squilibrio del bilancio energetico. Se le energie che spendiamo quotidianamente e quelle che assumiamo con il cibo non si equivalgono si avvia la fase di deposito con conseguente aumento della quantità di grasso corporeo. In altri termini le energie che “avanzano” da questo semplice calcolo matematico vengono conservate sotto forma di grasso in vista di periodi di carestia (che ahimè non arriveranno mai).
È fuor di dubbio che una dieta ipercalorica e una scarsa attività fisica siano tra i principali fattori determinanti la comparsa dell’obesità. Ma in virtù delle più recenti acquisizioni lo scenario delle possibili cause e delle eventuali terapie si va sempre di più ampliando.
Una delle correnti di ricerca è quella che mette in relazione l’aumento del peso corporeo con la particolare flora batterica intestinale. Gli esperimenti fin qui sono stati condotti sui topini.
Lo scienziato americano Jeffrey Gordon ha messo in evidenza come nel topo obeso vi sia una significativa riduzione dei batteri appartenenti alla famiglia dei Bacteroidetes ed un parallelo aumento dei batteri della famiglia dei Firmicutes e dei batteri produttori di metano appartenenti alla suddivisione degli Archea. I Firmicutes posseggono degli enzimi (idrolasi) capaci di scindere le fibre fino a zuccheri semplici facilmente assorbibili.
Per rendere meglio l’idea dovrei parlarvi delle vacche (il termine è poco elegante ma è così che gli zootecnici chiamano questi grandi erbivori). Una vacca di razza Frisona, ad esempio, raggiunge da adulta un peso di 650-750 kg. Appena nata ne pesava circa 40!
Per raggiunge e mantenere le dimensioni definitive questo erbivoro arriva a mangiare fino a 20 kg di fieno al giorno! Ed è in grado di ricavarne energie grazie ai batteri che vivono nei suoi stomaci (come tutti i ruminanti le vacche sono munite di più stomaci: omaso e abomaso e rumine).
Noi non saremmo in grado di vivere di sola fibra ma paradossalmente se il nostro intestino abbondasse di Firmicutes potremmo essere di quelli che fanno fatica a dimagrire pur mangiando solo insalata in grande quantità! In altri termini è lecito pensare che variazioni quantitative e qualitative della flora batterica ci portano ad estrarre il massimo valore energetico dalla dieta traendo calorie anche da alimenti potenzialmente poco calorici come quelli fibrosi.
Nel 2011 alcuni ricercatori della Harvard University pubblicarono sul New England Journal of Medicine un articolo in cui mettevano in evidenza come alcuni cibi siano invariabilmente associati con l’aumento del peso corporeo mentre altri sembrano determinare un calo ponderale. Non sorprese nessuno leggere che le patatine fritte facessero ingrassare. Mentre la grande notizia fu che yoghurt e noci sono in grado di determinare una perdita di peso. Eppure si tratta di alimenti ricchi in grassi! Posto dunque che il contenuto in grassi e l’apporto calorico fornito da un alimento non sono di per sé la causa dell’aumento ponderale, la domanda è: “Che ruolo ha il nostro microbiota nel far sì che la frutta secca ci faccia dimagrire?”
Ormai abbondano le evidenze scientifiche del fatto che ciò che mangiamo può alterare il nostro microbiota. Così il Professor Gary Wu dell’University of Pennsylvania, assieme con i suoi collaboratori ha dimostrato che l’intestino delle persone che si nutrono prevalentemente di carboidrati (pasta, pane, patate, zuccheri semplici) abbonda in Prevotella, mentre in chi mangia tanta carne dominano i Bacteroidetes. A questo punto quando ci soffermiamo a pensare alla potenziale cancerogenità di una tipica dieta occidentale il sospetto è ancora una volta che i nostri batteri intestinali possano metterci lo zampino.
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Ciao, grazie molte per l’articolo, l’ho letto con attenzione e mi è piaciuto.
Grazie mille a te per l’incoraggiamento!