La ghiandola tiroidea è responsabile della produzione di due ormoni, la tetraiodotiroxina (T4) e la triodotironina (T3). Questi ormoni, agendo a livello di specifici recettori nucleari, svolgono un ruolo essenziale nella differenziazione cellulare durante lo sviluppo fetale e nel corso dell’età evolutiva. Nell’adulto aiutano a mantenere l’omeostasi termogenica e metabolica.
Le patologie a carico della tiroide derivano essenzialmente da processi autoimmuni che possono stimolare un’aumentata produzione di ormoni tiroidei (tireotossicosi) come avviene nel morbo di Graves oppure causare la distruzione ghiandolare ed il conseguente deficit ormonale (ipotiroidismo) come avviene nella tiroidite di Haschimoto.
Fin qui si sa ancora poco sul ruolo del microbiota intestinale nel regolare la funzionalità della ghiandola tiroidea. Pochi sono gli Autori che si sono cimentati su questo argomento ma si avanza l’ipotesi che possa esistere una asse intestino-tiroide così come esistono un asse intestino-cervello, un asse intestino-fegato, un asse intestino-cuore e così via dicendo.
Il microbiota intestinale
Il microbiota intestinale è formato da oltre 1200 specie di batteri, per la gran parte anaerobi estremofili. Nel loro insieme i batteri intestinali formano una massa di 1,5-2,0 kg alla quale viene riconosciuta la dignità di un organo. I phyla prevalenti sono Bacteroidetes, Firmicutes, Actinobacteria, Proteobacteria e Verrucomicrobia.
La condizione di eubiosi (corretto assetto qualitativo e quantitativo della flora batterica residente) è essenziale non solo ai fini della funzionalità intestinale ma anche per la realizzazione dell’omeostasi immunologica, ormonale e metabolica. Al contrario la disbiosi correla con le patologie su base infiammatoria ed autoimmune quali la sclerosi multipla, il diabete mellito di tipo 1, le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), le malattie reumatiche, l’obesità ed il diabete di tipo 2. Su questa base di conoscenze è lecito pensare che la disbiosi abbia a che fare anche con le patologie della tiroide e a tal proposito cominciano ad arrivare le prime conferme.
Così, ad esempio, in alcuni lavori scientifici è stata stabilita la correlazione tra ipotiroidismo e SIBO. Con questa sigla si indica la sovra-crescita batterica nel piccolo intestino.
È possibile che i batteri intestinali possano avere la capacità di condizionare il metabolismo di T3 e T4 (sia di quelli di produzione endogena che di quelli assunti per os nell’ambito di una terapia ormonale sostitutiva)? Questa è la domanda che ci poniamo.
Tiroide: come faccio a sapere che c’è qualcosa che non va?
Il sospetto di malattia tiroidea nasce dall’osservazione di una serie di segni e di sintomi. Fondamentali sono dunque l’anamnesi e l’esame obiettivo.
Il soggetto ipotiroideo presenta il seguente quadro clinico:
- sensazione generalizzata di freddo,
- depressione,
- problemi di sonnolenza diurna,
- difficoltà a mantenere la concentrazione,
- perdita di memoria,
- aumento ponderale,
- stipsi,
- cute secca e ruvida,
- capelli secchi e fragili,
- perdita della parte esterna delle sopracciglia.
Al contrario il soggetto ipertiroideo lamenta i seguenti sintomi:
- perdita di peso,
- nervosismo,
- irritabilità,
- eccessiva sudorazione,
- tremori,
- debolezza muscolare,
- tachicardia,
- palpitazioni,
- apprensione,
- insonnia.
Una volta avanzato il sospetto di ipo- o iper-tiroidismo si prosegue con la prescrizione degli esami ematici e lo studio anatomico della ghiandola tramite esame ecografico. Qui di seguito vengono riportati i principali parametri ematici e i relativi range di riferimento:
- TSH,
- FT3,
- FT4,
- AbTG,
- AbTPO,
- TRAb,
- (calcitonina),
- (tireoglobulina).
Il TSH o ormone tireostimolante è secreto dall’ipofisi anteriore con il ruolo di promuovere la captazione dello iodio, la sintesi della tireoglobulina e la liberazione degli ormoni tiroidei in circolo. La secrezione del TSH è controllata dall’ipotalamo attraverso il TRH (effetto stimolante) e dagli ormoni tiroidei circolanti con feedback negativo. Il valore normale per il TSH è compreso tra 0,5 e 5,0 μU/ml.
FT4 e FT3 sono rispettivamente la tiroxina libera sierica e la triodotironina libera sierica. Andiamo a dosare la quota libera perché l’ormone legato alle proteine vettrici è inattivo. Questo fenomeno da un lato consente di tamponare eventuali eccessi di produzione degli ormoni tiroidei mentre dall’altro consente di disporre di una specie di riserva di ormone circolante. I valori normali di FT4 sono compresi tra 0,7 e 2 nanogrammi per decilitro; per l’FT3 i valori normali ricadono nel range 2,2-7,2 pmol/L.
La positività degli auto-anticorpi anti-tireoglobulina (AbTG) e anti-tireoperossidasi (AbTPO) a fronte di una diminuzione degli ormoni tiroidei consente di porre diagnosi di tiroidite di Haschimoto.
I TRAb, invece, sono gli anticorpi contro il recettore del TSH e risultano aumentati nel morbo di Graves.
Tireoglobulina e calcitonina assumono importanza in caso di patologia tumorale. La prima è una glicoproteina ricca di residui di tirosina che viene immagazzinata nel lume dei follicoli tiroidei. La formazione degli ormoni tiroidei richiede il riassorbimento della colloide attraverso un fenomeno di endocitosi e la degradazione della tireoglobulina in T4 e in T3. In condizioni fisiologiche la tireoglobulina è presente a livello ematico in piccolissime quantità. Valori aumentati si riscontrano nell’ipertiroidismo, nel gozzo endemico, nel gozzo multinodulare e nelle neoplasie della tiroide.
In particolare nel soggetto tiroidectomizzato la rilevazione a livello plasmatico di valori dosabili di tieroglobulina sta ad indicare la residua presenza di cellule tiroidee, verosimilmente a seguito della formazione di isole metastatiche.
La calcitonina è un ormone polipeptidico prodotto dalle cellule para-follicolari della tiroide. Ha azione ipo-calcemizzante poiché inibisce il riassorbimento del calcio a livello della matrice ossea favorendone al contrario la deposizione (gli fa da contraltare il paratormone prodotto dalle paratiroidi). Un innalzamento dei livelli sierici di calcitonina (>500 pg/ml) è suggestivo di un carcinoma midollare della tiroide.
Iodio e Selenio: la nostra tiroide non può farne a meno
Ai fini della funzionalità tiroidea due micro-nutrenti giocano un ruolo significativo: questi sono lo iodio ed il selenio. Lo iodio viene assorbito a livello del piccolo intestino essenzialmente per trasporto passivo. Sappiamo che a livello tiroideo lo iodio viene trasportato attivamente all’interno della ghiandola contro gradiente elettrochimico grazie alla presenza di un sistema di cotrasporto Na+/I, localizzato nella porzione basale della membrana delle cellule epiteliali tiroidee. A questo sistema di cotrasporto si da il nome di NIS (Na/I Symporter). La cosa interessante è che ultimamente il NIS è stato rintracciato anche a livello dell’orletto a spazzola o brush border. Più recentemente, poi, è stato descritto un altro trasportatore ubiquitario, l’Na+/multivitamin trasporter. Questo a significare che l’assorbimento dello iodio a livello intestinale non avviene soltanto con modalità passiva (secondo gradiente di concentrazione) ma anche grazie al coinvolgimento di sistemi che richiedono energia (trasporto attivo contro gradiente di concentrazione).
Che la composizione del nostro microbiota intestinale sia in grado di compromettere l’assorbimento intestinale dello iodio è noto già da oltre 50 anni. Come dimostrato in un lavoro del 1972, la somministrazione ad una popolazione di ratti di kanamicina (antibiotico non assorbibile che agisce sia a carico dei batteri aerobi che di quelli anaerobi) è in grado di ridurre, già a distanza di 3 h dalla somministrazione, l’assorbimento dello iodio (Vought et al.).
Il selenio è un costituente delle selenoproteine tra le cui funzioni c’è quella di inibire la perossidazione lipidica. Fin qui ne sono state identificate circa 25. Le principali sono;
- le glutatione perossidasi (GRx1-4) coinvolta nell’eliminazione di perossido di idrogeno e perossidi organici (difesa antiossidante);
- le tioredossina reduttasi (TRR 1, 2,3) coinvolta nella riduzione di tioli proteici e nel mantenimento dello stato redox intracellulare;
- le iodiotironina deiodinasi (DI 1, 2, 3) coinvolte nel metabolismo periferico degli ormoni tiroidei;
- la selenoproteina P per il trasporto plasmatico del Se;
- la selenofosfato sintetasi (SPS2) per la formazione della selenocisteina (Sec) dalla serina.
L’assorbimento del selenio avviene a livello del duodeno e del grosso intestino e dipende dalla sua forma chimica (inorganica: minerale o metallica; organica: selenio-metionina e selenio-cisteina).
La tiroide possiede la più alta concentrazione per grammo di selenio dell’intero organismo, ma è stato stimato che ¼ dei batteri intestinali possiede i geni che codificano per le selenioproteine (E. coli, Clostridia, Enterobacteria). In uno studio molto recente (Lavu et al., 2016) si è dimostrato (attraverso un modello di digestione gastrointestinale in vitro) che il selenio non assorbito a livello del piccolo intestino viene metabolizzato a livello colico dai batteri ivi residenti (meccanismo di competizioni per substrato tra ospite e ospitante). Un incremento della captazione di selenio ad opera dei batteri intestinali può influenzare negativamente la sintesi di selenioproteine da parte dell’ospite. In questo caso la tiroide sarà esposta ad un maggiore stress ossidativo (per carenza della tioredossina reduttasi) mentre a livello periferico si avrà un deficit di conversione dell’FT4 in FT3 (la forma attiva dell’ormone) per carenza di deiodinasi. D’altro canto l’arricchimento della dieta con fonti di selenio sembra aumentare la biodiversità del microbiota (Kasaikina et al. , 2011).
Intestino: exchanging pool of iodothyronines
I batteri intestinali sono in grado di legare a sé gli ormoni tiroidei (high affinity binding – T3>T4), e di sottoporli a processi di :
- deiodinazione;
- deaminazione;
- decarbossilazione (Roche and Michel, 1960; Salvatore et al., 1963).
La rimozione dello iodio mediante deiodinazione enzimatica, la deaminazione ossidativa e la decarbossilazione della catena laterale di alanina sono in grado di attivare/disattivare gli ormoni tiroidei. È lecito pensare che questi fenomeni possano riguardare sia gli ormoni endogeni che giungono per via ematica nel distretto intestinale sia, a maggior ragione, quelli assunti per os nell’ambito di una terapia ormonale sostitutiva. Sulla base di questi meccanismi è stato affermato che l’intestino può giocare un importante ruolo come reservoir di un pool di iodiotironine scambiabili (exchanging pool of iodothyronines).
Batteri intestinali e metabolismo degli ormoni tiroidei
Gli ormoni tiroidei vengono sottoposti a livello epatico alle reazioni di fase II (coniugazione con acido glucoronico ed acido solforico). Queste reazioni hanno l’effetto di accrescere la solubilità delle iodiotironine aumentandone la clearance biliare e renale e allo stesso tempo riducendone l’assorbimento intestinale. Il T4 viene preferenzialmente glucoroconiugato mentre il T3 viene coniugato in egual misura con acido glucoronico e con acido solforico.
Sia nei ratti che negli umani è stato visto che farmaci e tossine in grado di indurre la glucuronidazione possono causare il gozzo e ridurre la concentrazione di T4, di T3 e di TSH (Wu et al., 2005). Si è visto inoltre che alcuni batteri anaerobi obbligati sarebbero in grado di idrolizzare le iodiotironine solfatate e glucoronidate. Con riferimento a questo fenomeno alcuni Autori parlano di una fase III di biotrasformazione: la separazione degli ormoni tiroidei dall’acido glucoronico o dall’acido solforico (o deconiugazione) che avviene a livello del canale gastroenterico ad opera della flora batterica residente ripristina l’ormone attivo che anziché essere eliminato viene riassorbito e reimmesso in circolo.
Circol entero-epatico degli ormoni tiroidei
L’idrolisi delle forme coniugate degli ormoni tiroidei ne rende possibile il ricircolo attraverso il sistema entero-epatico (stesso meccanismo è stato descritto per gli ormoni steroidei, per gli acidi biliari e per le vitamine). Il ruolo del microbiota intestinale nel consentire questo fenomeno è confermato dalla sua abolizione negli animali germ-free.
La colestiramina è una resina a scambio anionico che lega gli acidi biliari a livello intestinale formando un complesso indivisibile che viene escreto per via fecale. La colestiramina viene usata come farmaco per il controllo del colesterolo ma è utile anche nel trattamento dei pazienti affetti da tireotossicosi (morbo di Graves). L’azione della colestiramina sui livelli plasmatici di T4 non fa altro che confermare l’esistenza di un circolo entero-epatico.
La tiroxina somministrata per os deve attraversare la barriera intestinale per poter diffondere a livello sistemico. Non vi è dubbio che a tal fine il microbiota intestinale gioca un ruolo chiave. I batteri simbionti sono infatti in grado di:
- modulare l’espressione delle tight junctions (che hanno a che fare con la permeabilità fisiologica o patologica della mucosa intestinale);
- modificare la forma degli enterociti;
- condizionare la composizione del doppio strato di muco (parte integrante della barriera intestinale).
Non è un caso se in pazienti con morbo celiaco e in quelli con intolleranza al lattosio è stato osservato un malassorbimento della tiroxina data per bocca (Virili et al. 2012).
Conclusioni
Se è vero, come è vero, che i batteri intestinali…
- possono interferire con la captazione dello iodio e del selenio,
- sono in grado di modulare l’azione delle desiodasi intestinali e sistemiche e di ridurre il pool della tireodossina reduttasi (che protegge la nostra tiroide dallo stress ossidativo ivi generato),
- riescono mediante deiodinazione enzimatica, deaminazione ossidativa e decarbossilazione della catena laterale di alanina ad attivare/disattivare gli ormoni tiroidei,
- possono giocare un importante ruolo come reservoir di un pool di iodiotironine scambiabili (exchanging pool of iodothyronines);
- e sono capaci di idrolizzare i legami con acido glucoronico e con acido solforico ripristinando l’ormone attivo che anziché essere eliminato viene riassorbito e reimmesso in circolo…
… allora la ricerca di uno stato di eubiosi riveste un ruolo chiave nel trattamento del paziente ipotiroideo.
Per ora è ancora difficile trovare soluzioni pratiche. Le nostre riflessioni fanno parte di un puro esercizio intellettuale ma la Medicina sta percorrendo questa strada e presto saranno disponibili nuovi scenari terapeutici.
E di fronte a questa complessità mi sento di dover dire “Hoc unum scio, idest nihil scire – Io so una cosa sola, cioè di non sapere” (Socrate)
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