Definizione di alimenti funzionali
Gli alimenti sono definiti funzionali quando, al di là delle proprietà nutrizionali di base, è scientificamente dimostrata la loro capacità di influire positivamente su una o più funzioni fisiologiche. Prerogativa fondamentale degli stessi alimenti è anche quella di contribuire a preservare o migliorare lo stato di salute e/o a ridurre il rischio di insorgenza delle malattie correlate al regime alimentare.
Il latte e i formaggi sono una fonte di nutrienti essenziali. Inoltre, è stato dimostrato che in questi prodotti sono presenti oltre 2000 molecole, alcune delle quali posseggono specifiche attività biologiche.
Proteine e peptidi
Il latte stesso, dunque, e qualsiasi alimento da esso derivato sono veicolo di sostanze bioattive. Queste però risultano maggiormente concentrate in quei prodotti che richiedono un lungo tempo di maturazione. Tra questi ricordiamo i formaggi a pasta dura, come il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano.
In questi formaggi le proteine rappresentano il 33% e sono ricche di aminoacidi essenziali. Durante il processo di maturazione una parte di queste proteine va incontro ad idrolisi dando esito alla formazione di peptoni, di peptidi e di aminoacidi liberi. Questo per via dell’azione proteolitica che viene esercitata dai batteri lattici presenti nel formaggio, che è a tutti gli effetti un alimento predigerito. Il 25% dell’azoto totale è costituito da aminoacidi liberi i quali sono in grado di stimolare la produzione di acido cloridrico a livello gastrico e di promuovere anche la secrezione di pepsina, l’enzima preposto alla digestione delle proteine. Dunque, nei formaggi a pasta dura sono presenti la caseina, una certa quota di peptidi di varia lunghezza e amminoacidi liberi. La caseina e i peptidi vanno incontro ai processi di digestione mentre gli amminoacidi liberi vengono direttamente assorbiti. Questa è una delle ragioni che rende conto dell’alto potere saziante del parmigiano o di formaggi similari dal momento che dopo la loro ingestione, e in virtù dei diversi tempi di digestione, si avranno un assorbimento lento, uno accelerato e uno veloce.
Peptidi bioattivi
È interessante sottolineare il fatto che alcuni di questi peptidi hanno il ruolo di sostanze funzionali. Si tratta di molecole formate da 2 a 30 residui amminoacidici che normalmente sono incorporati all’interno delle proteine e che risultano essere inattivi fino a quando non vengono rilasciati per azioni degli enzimi proteolitici, così come avviene durante il processo digestivo ma anche durante il processo di maturazione del formaggio. Sono sostanze che contribuiscono a migliorare le caratteristiche organolettiche del prodotto finito ma che allo stesso tempo agiscono come peptidi bioattivi.
È interessante, ad esempio, il ruolo dei fosfopeptidi che derivano dalla porzione azoto terminale della caseina beta. Queste molecole hanno la capacità di legare a sé i minerali consentendone un più efficace assorbimento. Risultano essere più abbondanti nei formaggi che abbiano avuto un periodo di stagionatura piuttosto lungo (di 16 mesi ed oltre). I peptidi bioattivi agiscono nell’organismo con un meccanismo che può essere assimilato a quello degli ormoni. Riescono infatti a raggiungere il sito target dopo essere stati assorbiti attraverso la mucosa intestinale e veicolati attraverso la circolazione: Tra le possibili azioni svolte dai peptidi bioattivi vanno menzionate:
- La capacità di prevenire la formazione delle carie dentale (potenziamento dello smalto e modulazione del pH a livello del cavo orale);
- La capacità di promuovere i processi digestivi (azione di stimolo sul rilascio dell’acido cloridrico e della pepsina)
- La capacità di incrementare l’assorbimento del calcio a livello intestinale e la deposizione di calcio a livello della matrice ossea (alto apporto in calcio e vitamina D, azione di veicolo del calcio ad opera dei fosfopeptidi derivanti dalla caseina beta);
- La capacità di potenziare le difese immunitarie (promuovono l’assorbimento dello zinco);
- La capacità di modulare i valori pressori grazie all’azione di alcuni peptidi bioattivi che agiscono inibendo l’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE);
- La capacità di modulare lo stress ossidativo (potenziano l’assorbimento del selenio, cofattore degli enzimi ad azione scavenger nei confronti delle specie reattive dell’ossigeno: glutatione perossidasi, superossido dismutasi).
Le caseinofosfopeptidasi nella prevenzione dell’osteoporosi
Le caseinofosfopeptodasi sono una mistura di peptidi fosforilati di differente lunghezza che vengono formati in vivo quando la casina è degradata dagli enzimi proteolitici presenti a livello del tratto digestivo o rilasciati dalla flora batterica operante durante il processo di maturazione del formaggio. Questi residui fosfati riescono a stabilire dei legami chimici con alcuni minerali, nello specifico con il calcio, con il ferro e con lo zinco. Dal legame tra queste molecole si formano dei sali solubili che incrementano di fatto la capacità di assorbimento dei minerali stessi. Questo sistema di trasporto passivo è la principale via di assorbimento del calcio che è richiesto i fini del mantenimento di una Bone Mineral Density fisiologica e dunque della prevenzione di osteopenia e osteoporosi. È stato stabilito peraltro che esiste un rapporto ottimale tra la quantità di casinofosfopeptidasi e la quantità di calcio. Questo rapporto è di 15:1 ed è interessante notare come anche questa sia una caratteristica dei formaggi che sono sottoposti ad un lungo processo di stagionatura.
I grassi del formaggio
Il latte e derivati del latte sono la fonte più complessa di grassi nella dieta umana. All’interno di questi prodotti troviamo 400 specie diverse di acidi grassi:
- gli acidi grassi a catena corta (fino al 25%)
- gli acidi grassi a catena media
- gli acidi grassi a catena lunga
- gli acidi grassi a catena ramificata
- gli grassi coniugati con il CLA
- gli acidi grassi trans prodotti a livello del rumine come l’acido vaccenico
- gli acidi grassi omega tre e omega sei.
In linea generale il grasso è presente nei formaggi a pasta dura con percentuali variabili dal 25 al 31%. Con un valore medio del 28% il parmigiano può essere definito come un formaggio semigrasso. Il suo contenuto in colesterolo è relativamente basso (83-91 mg per 100 grammi di prodotto). Gli acidi grassi a catena corta (caratterizzati da un numero di atomi di carbonio che va da 4 a 10) sono assorbiti con maggior facilità rispetto agli acidi grassi a catena lunga e non necessitano di lipoproteine di trasporto. Per queste loro caratteristiche sono in grado di fornire energia di pronto utilizzo all’organismo. Rappresentano la gran parte degli acidi grassi presenti nei formaggi a pasta dura poiché durante il processo di maturazione si verifica una parziale lipolisi che rende disponibile una certa quantità di acidi grassi in forma libera facilitando così loro assorbimento. In altri termini per i grassi si verifica un processo analogo a quello già descritto per le proteine. Lipolisi e proteolisi fanno del formaggio un alimento predigerito.
Ci sono evidenze scientifiche del fatto che i grassi presenti nel formaggio possono avere effetti benefici sul rischio cardiometabolico portando ad una riduzione dell’infiammazione cronica e del processo di perossidazione lipidica a carico delle membrane cellulari. Queste azioni possono essere ricondotte in gran parte alle proprietà degli acidi grassi a catena corta, ed in particolare dell’acido butirrico.
L’acido linoleico coniugato
L’acido linoleico coniugato, detto più semplicemente CLA, è un isomero del più noto acido linoleico (LA).
Al CLA vengono classicamente attribuite diverse funzioni biologiche, osservate per lo più su modelli sperimentali. Più precisamente, dalle prime indicazioni, oltre al ruolo nutrizionale, emergerebbero potenziali attività:
- anticancerogene;
- antitrombotiche;
- immunomodulatorie;
- antiobesigene;
- antidiabetiche.
Formaggi stagionati e intolleranza al lattosio
Il lattosio è un disaccaride formato da glucosio e galattosio. La sua presenza nel latte ne definisce il valore calorico. L’assorbimento intestinale del lattosio richiede l’idrolisi nei suoi due monosaccaridi ad opera della lattasi, enzima presente a livello dell’orletto a spazzola degli enterociti. La capacità di digerire il lattosio durante il periodo dell’allattamento al seno è essenziale per la salute del bambino tant’è che la lattasi comincia ad essere espressa già a partire dall’ottava settimana di gestazione. La sua attività aumenta fino alla 34a settimana e la sua espressione è al culmine al momento della nascita. Tuttavia, dopo i primi tre mesi di vita, l’attività della lattasi diminuisce (non-persistenza della lattasi). Nella gran parte dei casi l’espressione della lattasi si riduce a seguito allo svezzamento fino a raggiungere livelli non più rilevabili come conseguenza della down-regulation del gene preposto alla sua sintesi. La frequenza di questo “tratto di persistenza della lattasi” è alta negli abitanti del Nord Europa (> 90% in Scandinavia e Olanda), diminuisce in Europa continentale e nel Medio Oriente (~ 50% in Spagna e in Italia) ed è bassa in Asia e in gran parte dell’Africa (~ 1% in Cina, ~ 5% -20% in Africa).
Circa i due terzi della popolazione mondiale vanno incontro ad una diminuzione programmata geneticamente della sintesi della lattasi dopo lo svezzamento (carenza primaria di lattasi). Inoltre, nei soggetti con persistenza della lattasi, l’insorgenza di infezioni gastrointestinali, di una malattia infiammatoria intestinale (MICI, vedi Rettocolite Ulcerosa e Morbo di Crohn), un’eventuale chirurgia addominale possono causare una diminuzione dell’attività della lattasi (carenza secondaria di lattasi). Queste condizioni devono essere distinte dal deficit congenito di lattasi, che è una malattia estremamente rara dell’infanzia con circa 40 casi segnalati principalmente in Finlandia. Qualunque sia la causa, il deficit di lattasi si traduce nella presenza del lattosio non assorbito nel tratto intestinale. L’aumento del carico osmotico dovuto alla presenza del lattosio aumenta il contenuto di acqua intestinale. Il lattosio viene facilmente fermentato dal microbiota colico con produzione di acidi grassi a catena corta e gas (principalmente idrogeno (H2), anidride carbonica (CO2) e metano (CH4)).
Il parmigiano e gli altri formaggi a pasta dura che subiscono un lungo processo di stagionatura possono essere definiti “lactose-free” dal momento che il lattosio viene utilizzato come substrato energetico dai batteri lattici operanti durante il processo di trasformazione/maturazione.
Formaggio come sinbiotico
Come fonte di probiotici (principalmente lattobacilli) e di prebiotici (principlamente oligosaccaridi) il formaggio può essere considerato un sinbiotico. Il termine “sinbiotico” non ha nulla a che fare con simbiosi (letteralmente “vita in comune”). Se così fosse avremmo scritto simbiotico. Qui il prefisso ha mantenuto la stessa scrittura della preposizione greca syn che indica unione, coesione nello spazio e nel tempo. Un sinbiotico potrebbe, dunque, essere definito come una miscela di probiotici e di prebiotici capace di esercitare effetti benefici sulla salute dell’ospite aumentando la probabilità di sopravvivenza e di attecchimento del microrganismo presente nella formulazione, e in questo caso nell’alimento. L’azione sinbiotica del formaggio ha luogo solo nel caso de ne faccia un uso moderato ma costante e prolungato nel tempo.
Formaggi e senso di sazietà: il caso di Hafnia alvei
L’evidenza scientifica ha dimostrato la capacità del microbiota intestinale di regolare l’appetito ed il comportamento alimentare dell’ospite sia in condizioni fisiologiche che in caso di malattia.
Questo nuovo filone di ricerca ha portato alla scoperta di alcuni meccanismi d’azione. Il batterio Hafnia alvei HA4597 ® offre l’opportunità di un interessante approfondimento. La considerazione da fare in partenza è che i batteri intestinali hanno la capacità di produrre sostanze ad azione enzimatica che contribuiscono a rendere più efficaci i processi digestivi, a potenziare la funzionalità del nostro apparato gastroenterico modulando le fasi di assorbimento oppure la peristalsi. Hafnia alvei produce la proteasi caseinolitica B che indichiamo con l’acronimo ClpB (caseinolytic protease B). Come il nome lascia intuire si tratta di un enzima in grado di degradare le caseine ma non è questo, ovviamente, che la rende capace di modulare il nostro appetito. La particolarità di ClpB è quella di agire come mimetico conformazionale dell’α-MSH (α-Melanocyte-Stimulating Hormone). Questo ormone è noto per la sua capacità di stimolare la produzione di melanina da parte dei melanociti ma ha anche un effetto anoressizzante. Lo hanno dimostrato per primi alcuni studi condotti su topi. Il trattamento con Hafnia alvei ha portato ad una sensibile riduzione del peso corporeo conseguente ad un ridotto food intake quando somministrata ad un campione di topi con deficit di leptina (topi ob/ob), iperfagici e alimentati con una dieta ricca in grassi (High-Fat-Diet, HFD). Il vantaggio in termini di perdita del grasso corporeo si rifletteva in una riduzione della glicemia, del colesterolo totale e delle transaminasi.
Partendo da questa base di conoscenze alcuni autori hanno avviato uno studio multicentrico randomizzato, in doppio cieco, placebo versus controllo. I risultati di questo studio sono stati pubblicati sulla rivista Nutrients a giugno del 2021 (Pierre Déchellotte, Jonathan Breton, Clémentine Trotin-Picolo, Barbara Grube, Constantin Erlenbeck, Gordana Bothe, Sergueï O. Fetissov, Grégory Lambert. The probiotic strain H. alvei HA4597 ® improves wight loss in overweight subjects under moderate hypocaloric diet: a proof-of-concept, multicenter randomized, double-blind placebo-controlled study. Nutrients 2021,13,1902.).
Gli autori dimostrano che la somministrazione di Hafnia alvei in associazione ad una dieta ipocalorica porta ad una significativa riduzione del peso corporeo (dal 3 al 4% rispetto al valore basale) paragonabile a quella ottenuta mediante somministrazione di orlistat.
ClpB è capace, come in una staffetta, di attivare i pathway ormonali della sazietà (satietogenic pathways). A livello intestinale promuove il rilascio di GLP-1 (Glucagon-Like Peptide 1) e PYY (Peptide YY) che viaggiando attraverso il flusso ematico raggiungono il nucleo della sazietà a livello ipotalamico. Inoltre, interagendo con i recettori della melanocortina grazie alla sua somiglianza strutturale con l’α-MSH, ClpB aumenta il dispendio energetico ed esercita un effetto lipolitico.
In virtù di queste sue proprietà Hafnia alvei HA4597 ® è stata proposta come ausilio nel trattamento di sovrappeso ed obesità ed il probiotico è già presente in commercio. Si tratta di una nuova categoria di probiotici che vengono indicati come precision probiotics o probiotici di precisione.
L’idea di Hafnia alvei nasce da un formaggio
La storia inizia dallo studio dell’ecosistema microbico di un formaggio, un camembert. Il camembert è un formaggio francese a pasta molle e crosta fiorita prodotto in Normandia e considerato uno degli emblemi gastronomici della Francia. In un articolo comparso nel 2013 sulla rivista scientifica International Journal of Food Microbiology si parla della presenza in questo formaggio di Hafnia alvei e della capacità di Hafnia alvei di contrastare la crescita di un altro batterio potenzialmente patogeno, l’Escherichia coli O26:H11 (Delbès-Paus et al. Behavior of Escherichia coli O26:H11 in the presence of Hafnia alvei in a model cheese ecosystem. Int J Food Microbiol 160, 212-218 (2013)).
Con riferimento al fenomeno per cui un batterio contrasta la crescita di un altro batterio, gli Autori anglosassoni parlano di negative co-occurrence tra specifici taxa e noi traduciamo questa espressione con quella di covarianze negative. Se due batteri competono tra di loro per lo stesso substrato nutritivo o per la stessa nicchia ecologica non possono che essere nemici l’uno dell’altro. In questo caso vale la locuzione latina “Mors tua, vita mea”. Batteri in forte competizione non solo si rubano il cibo a vicenda ma si fanno letteralmente la guerra. Si sente da tempo parlare di batteriocine, sostanze di natura proteica in grado di uccidere specie batteriche filogeneticamente vicine. Ma poiché nessuno vince una guerra da solo anche i batteri intestinali hanno imparato a scegliere i propri alleati. L’evidenza scientifica dimostra che ci sono batteri che si potenziano a vicenda. Avendo un metabolismo diverso gli uni dagli altri, questi batteri si sono adattati a condividere lo stesso spazio. Spesso un gruppo di batteri produce dei cataboliti che diventano il substrato nutritivo di un altro gruppo di batteri. In questo caso, come è ovvio, si parla di covarianza positiva perché al crescere della numerosità di uno dei due taxa cresce anche quella dell’altro. Dunque, tornando a noi, potremmo dire che Hafnia alvei e Escherichia coli covariano negativamente tra di loro.
Qualche formulatore, leggendo questo articolo, può aver avuto una prima idea… l’idea soltanto abbozzata di utilizzare Hafnia alvei come probiotico. Ma come dice il detto chi lascia la strada vecchia per la nuova sa cosa lascia e non sa cosa trova. Posto che Hafnia alvei sia realmente in grado di spiazzare il patogeno putativo Escherichia coli dall’ambiente colonico (come ha dimostrato di poter fare all’interno di un formaggio), siamo proprio sicuri che si tratti di un batterio innocuo e che valga la pena albergarlo nel proprio intestino?
Hafnia alvei appartiene al Phylum Proteobacteria. Il nome del genere, Hafnia, in latino significa Copenaghen. Il microbiologo danese Vagn Møller lo identifica per la prima volta nel 1954. Fino agli anni ’80 Hafnia è stato confuso con Enterobacter. Le specie fin qui note sono tre:
- alvei,
- paralvei
- e psychrotolerans.
Si tratta di un batterio dominante nel formaggio camembert dove è presente ad una concentrazione che può raggiungere le 109 Unità Formanti Colonia (UFC)/g. Hafnia alvei è un ceppo psicrotrofico (dal greco psychrós che significa freddo), ovvero è in grado di proliferare anche a bassa temperatura. Per questo motivo non cessa di crescere nel formaggio durante la fase di stoccaggio come invece succede per Escherichia coli. I bovini lo ritrovano nel foraggio e nel terreno. Dall’intestino dei bovini arriva al latte, e dal latte al formaggio.
In merito ai formaggi se si parte da latte crudo è prevista una stagionatura superiore ai 60 giorni. Questo limite temporale non è sinonimo di sicurezza poiché la carica microbica totale potrebbe essere ancora molto elevata. L’ideale è portare la stagionatura fino a 180 giorni e prevedere, durante il processo di maturazione, una serie di operazioni che contribuiscono a ridurre la carica microbica come la cottura della pasta e la filatura.
Lysteria monocytogenes è una problematica tipica dei formaggi erborinati a crosta fiorita come il camembert. Al fine di contenere la crescita di questo batterio potenzialmente patogeno si parte dal latte pastorizzato ed è prevista una fase di maturazione a bassa temperatura. L’inoculo di batteri come Hafnia alvei serve in questo caso a consentire lo sviluppo di sostanze odorose (putrescina e cadaverina) che aumentano il valore organolettico del prodotto finale.
Hafnia alvei non è un batterio QPS per cui, fin qui, è stato consentito il suo uso nell’ambito dell’industria alimentare ma non come integratore.
La presunzione qualificata di sicurezza (QPS) è una metodica scientifica per formulare un’ipotesi circa la sicurezza di una sostanza sulla base di ragionevoli prove. Se una valutazione scientifica giunge alla conclusione che un gruppo di microrganismi non dà adito a problemi di sicurezza, al gruppo viene assegnato lo “stato di QPS”.
C’è sempre un limite: il curioso caso del mangiatore di formaggio e di Mitsuokkella
Mitsuokella è un genere appartenente al Phylum Firmicutes, rientra tra i batteri ambientali ed è normalmente poco o per nulla rappresentato all’interno del consorzio microbico intestinale. Ha una certa importanza in ambito zootecnico dal momento che la sua presenza nell’intestino dei suinetti ne condiziona positivamente la crescita (fenomeno dell’energy harvest).
In ambito scientifico si è soliti dire che una rondine non fa primavera. Un singolo caso non fa statistica ma può sollecitare alcune riflessioni. Per questa ragione mi piace raccontare il caso di un paziente affetto da obesità. La dieta che si era auto prescritto prevedeva grandi quantità di verdure che, essendogli poco gradite, venivano arricchite con l’aggiunta di grandi quantità di parmigiano.
Mitsuokella è un batterio ambientale, presente nel terreno e nel foraggio passa nel latte dell’animale e da qui nel formaggio. Dall’analisi del microbiota fecale colonico di questo paziente è stato possibile appurare che il suo intestino albergava un gran numero di batteri appartenenti a questo genere.
Il ricondizionamento dell’assetto microbico intestinale ancor prima che la correzione della dieta hanno comportato in tempi relativamente brevi il raggiungimento di un peso corporeo ottimale.
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