Già da tempo si sente parlare di leptina (ormone prodotto dal tessuto adiposo e in grado di regolare il senso di sazietà) o di ghrelina (l’ormone dell’appetito). Negli ultimi anni la mappatura del DNA ha consentito di scoprire almeno un’altra dozzina di geni coinvolti nell’eziologia dell’obesità.
Ma avere o no quel dato gene portatore di obesità ereditato dai nostri genitori non è il solo fattore da considerare. Bisogna anche vedere quanto quel gene è espresso. Entriamo così in un nuovo capitolo della genetica noto come epigenetica. Con questo termine ci si riferisce ai cambiamenti che influenzano il fenotipo (l’individuo come appare nella sua complessità) senza alterare il genotipo (coiè l’insieme dei geni). Si tratta di fenomeni che possono verificarsi già nella vita intrauterina tant’è che alcuni esperti parlano di FOAD (Fetal Origins of Adult Disease – Origini fetali della malattia adulta). Prendiamo l’esempio di una femmina incinta durante una carestia. Il feto imparerà che il cibo scarseggia e che la strategia migliore è quella di immagazzinarne ogni briciola. Indipendentemente da come si siano assortiti i geni del nuovo essere in formazione questo subirà una programmazione metabolica e per tutto il resto della vita sarà in grado di conservare una buona quota di energia che gli deriva dagli alimenti che ingerisce. In altri termini sarà molto bravo ad ingrassare.
Tra i fenomeni che rendono possibile accendere e spengere i nostri geni vi è quello della metilazione, ovvero il legame di un gruppo metile ad una base azotata. Mentre il patrimonio genetico di ciascun individuo rimane per lo più invariato durante tutta la vita, l’epigenetica è un fenomeno piuttosto dinamico.
Il cibo che ingeriamo potrebbe prendere parte a questo fenomeno contribuendo ad accendere e spengere i nostri geni!
È di pochi giorni fa la pubblicazione di un interessante articolo sulla prestigiosa rivista “The Lancet”. Gli Autori giungono alla conclusione che il grado di metilazione di specifici geni coinvolti nel metabolismo ossidativo sia fortemente correlata all’Indice di Massa Corporea (BMI).
Lo studio ha preso in esame 459 individui caucasici e ha verificato l’associazione tra il grado di metilazione di vari segmenti di DNA e il BMI. In particolare è stato possibile determinare che per ogni incremento del 10% del grado di metilazione su tre segmenti del gene HIF3A il BMI aumenta dal 3,2 al 7,8%.
E se potessimo spengere i geni responsabili dell’aumento di peso?
Probabilmente tra non molto sarà possibile!
Per chi volesse approfondire:
http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2813%2962674-4/abstract
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