Sono ormai 20 anni che si studia la relazione tra composizione del microbiota intestinale e tendenza all’aumento di peso. Tra le scoperte fatte c’è quella che riguarda il rapporto tra Firmicutes e Bacteroidetes. L’analisi per Phylum del microbiota colonico dimostra che negli individui adulti dominano due gruppi, quello dei Bacteroidetes e quello dei Firmicutes per l’appunto. Questi due gruppi, presi assieme, rappresentano il 95% circa delle popolazioni microbiche residenti nel nostro intestino.

Il rimanente 5% è invece riconducibile principalmente ai Phyla Proteobacteria, Actinobacteria, Tenericutes, Verrucomicrobia e Fusobacteria.

Quello che gli scienziati hanno capito è che il rapporto Firmicutes/Bacteroidetes è più alto nei soggetti sovrappeso/obesi che nei normopeso. Lo hanno chiamato per questo obesity ratio e hanno stabilito per esso un range di normalità. Se il rapporto è compreso tra 0.8 e 1 non dovremmo avere un rischio aumentato di ingrassare. Qual è la spiegazione di questo interessante fenomeno?

I Bacteroidetes sono tutti batteri gram negativi e sono tipici delle diete occidentali ricche in proteine e in grassi saturi. I Firmicutes, in parte gram positivi e in parte gram negativi, sono favoriti da quelle diete ricche in carboidrati e in alimenti di origine industriale, fonti di grassi elaborati e di zuccheri semplici.

Se prevalgono i Firmicutes aumenta anche la nostra capacità di estrarre energia dal cibo che ingeriamo. Uni dei possibili meccanismi consiste nella soppressione dell’espressione intestinale di una lipoproteina (nota come fattore adiposo digiuno indotto o FIAF, Fasting-Induced Adipose Factor) che a sua volta inibisce la lipasi intestinale. La soppressione del FIAF, dunque, incrementa l’attività della lipasi intestinale. Maggiore sarà dunque la capacità di estrarre acidi grassi dalle particelle grassose postprandiali, i chilomicroni. Da qui la maggiore tendenza ad ingrassare.

Sembra che tra tutti i Firmicutes siano i batteri appartenenti all’ordine Clostridiales quelli maggiormente coinvolti in questo fenomeno. Il test del microbiota intestinale ci può dare informazioni circa la prevalenza dei Clostridiales nel nostro intestino. È anche possibile, tramite terapie combinate che prevedono la somministrazione di prebiotici, di probiotici e la prescrizione di un piano alimentare adatto, riportare i Clostridiales nell’ambito della numerosità attesa.

Non va trascurato un secondo meccanismo che ha a che fare con la capacità di estrarre energia residua dal materiale fecale. Noi non disponiamo degli enzimi, le glicosidasi, che rendono possibile la digestione dei polisaccaridi vegetali ad alto peso molecolare presenti nei nostri pasti. *Polisaccaridi vegetali ad alto peso molecolare* tradotto significa fibre vegetali. A digerirle ci pensano i nostri batteri intestinali, in particolare i Firmicutes. Questi convertono le fibre in acidi grassi a catena corta, principalmente acetato, proprionato e butirrato.

Le cellule che rivestono il nostro intestino derivano il 60-70% dell’energia necessaria a sopravvivere proprio dagli acidi grassi a catena corta ed in particolare dal butirrato. Ma quando i Clostridiales sono sovrabbondanti allora la produzione locale di butirrato sale a valori tali da sfamare per intero i nostri colonociti. Quel 30-40% delle calorie che i colonociti avrebbero dovuto derivare dalla circolazione sistemica viene così risparmiato e convertito alla fine in grasso corporeo.

Conclusioni

Il test del microbiota intestinale ci consente di studiare l’abbondanza relativa dei batteri colonici. Alcuni di essi si rendono responsabili, almeno in parte, della nostra tendenza ad ingrassare. Così ad esempio mentre cerco di far dimagrire un mio paziente attraverso un regime alimentare personalizzato e un appropriato programma di allenamento, ho anche la possibilità di condizionare la composizione del suo gut microbiota in modo che diminuisca la sua capacità di assorbire calorie dagli alimenti.  Questa strategia sarà senza dubbio utile anche durante la fase di mantenimento del peso corporeo.

 

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