Sindrome dell’ovaio policistico: case report
G. è una bella ragazza di 15 anni. Il suo sorriso illumina il giovane volto e gli occhi sono di un bel colore nocciola. Ha avuto il primo ciclo quando aveva 12 anni. È già da un po’ che lotta contro la bilancia. Pesa 110 kg essendo alta 1,71 m. Ha una circonferenza vita pari a 101,5 cm. Con un Indice di Massa Corporea (IMC o BMI, Body Mass Index) di 37,7 è affetta da obesità di II grado. La percentuale di grasso corporeo, stimata tramite tecnica impedenziometrica, è pari al 39,6%. Questo significa che 43,6 kg dei 110 totali sono fatti di grasso. Con questi valori G. ha un elevato rischio di sviluppare nel tempo diabete di tipo II, ipertensione e malattie cardiovascolari. Fatica però a perdere peso a causa della sua dipendenza dal cibo spazzatura e della mancanza totale di attività fisica.
Ma non è solo questo: G. è affetta da sindrome dell’ovaio policistico (PCOS, Poly-Cystic Ovary Syndrome).
Sindrome dell’ovaio policistico: la clinica
Si tratta di una condizione in cui le ovaie iniziano a produrre un eccesso di androgeni, gli ormoni sessuali maschili. La sindrome dell’ovaio policistico si manifesta con alterazioni mestruali, mancata ovulazione, acne, seborrea, irsutismo, obesità centrale e insulinoresistenza. A causa dello squilibrio ormonale i follicoli ovarici non giungono a maturazione e si vengono a formare delle microcisti. La diagnosi si basa sul riscontro anamnestico di obesità, irsutismo, acne, seborrea e alterazioni del ciclo mestruale. L’ecografia pelvica permette di valutare le alterazioni istologiche a carico delle ovaie confermando il sospetto diagnostico. Le ovaie sono spesso aumentate di volume a causa dell’iperplasia delle cellule tecali e presentano numerosi follicoli nelle prime fasi di sviluppo accanto ad altri completamente atresici.
Si tratta di argomenti molto specialistici e a G. francamente non interessa niente di androgeni, insulinoresistenza, microcisti e così via dicendo. Spiegarle queste cose potrebbe voler significare: “Cara G. sei così non solo a causa del modo disordinato di mangiare e delle tua pigrizia cronica; purtroppo il tuo corpo produce troppi androgeni e se non vogliamo rischiare di aggravare la situazione è necessario interrompere questo circolo vizioso.”
Ma G. ha solo 15 anni, è nel pieno dei turbamenti adolescenziali, è distratta da mille cose. Se le parli di “regime alimentare corretto ed esercizio fisico” ti fa capire subito, già solo con l’espressione del volto, che non ha molta voglia di fare sacrifici. Eppure questa volta sembra proprio quella buona. È stata lei a chiedere ai suoi genitori di portarla dal Nutrizionista.
Sindrome dell’ovaio policistico e iperandrogenismo
Le condizioni che possono portare ad iperandrogenismo sono molteplici:
- Cause surrenaliche (la parte più interna della corteccia surrenale produce androgeni)
- Cause ovariche (tumori, iperproduzione da parte delle cellule stromali)
- Obesità centrale con conseguente iperinsulinemia e iperattivazione dell’enzima P450c17 che agisce stimolando la steroidogenesi sia a livello ovarico che surrenalico.
Nel caso di G. è probabile che la condizione ovarica sia la conseguenza del grasso che si è accumulato a livello addominale. Più che di grasso addominale si dovrebbe parlare di tessuto adiposo viscerale, cioè del grasso localizzato nello spazio tra gli organi interni come fegato, intestino e reni. Questo grasso non è come quello che si deposita sui fianchi. In corso di restrizione calorica viene metabolizzato per primo rilasciando nella circolazione portale acidi grassi liberi che giungendo al fegato favoriscono la sintesi di glucosio (gluconeogenesi) e riducono la clearance epatica dell’insulina. Ciò significa che nel sangue vi saranno più glucosio e più insulina del normale.
Sindrome dell’ovaio policistico e insulinoresistenza
Per spiegare in termini semplici il fenomeno dell’isulinoresistenza è importante sapere che il numero di cellule adipose di cui disponiamo una volta divenuti adulti rimane invariato. Perciò se si ingrassa le singole cellule adipose si dilatano. Di fronte ad un pasto abbondante e al conseguente rilascio di insulina queste cellule, già al culmine della loro capacità, si rifiuteranno di accumulare altro grasso. È come se dicessero. “Spiacenti, non importa se sei l’insulina, qui siamo al completo.” E non solo. Le stesse cellule adipose possono rilasciare ormoni che spingono altre cellule adipose e quelle muscolari a diventare anch’esse resistenti all’insulina.
È possibile dunque che G. sia portatrice del cosiddetto “gene del risparmio”, quello che favoriva i nostri antenati nei periodi di forte carestia. Alla fame prolungata sopravvivevano solo coloro che avevano la tendenza ad accumulare grasso viscerale, facendo così scorta di energia per i periodi in cui il cibo non sarebbe stato disponibile. Se in epoche precedenti il gene del risparmio ha fatto la differenza tra la vita e la morte, di fronte all’eccesso alimentare tipico della nostra epoca rappresenta un vero inconveniente! Per far sì che i geni che abbiamo ereditato dai nostri antenati non ci condannino ad essere malati dobbiamo agire sull’ambiente, e nello specifico possiamo evitare di sviluppare il diabete adottando un’alimentazione corretta e uno stile di vita sano.
Facile a dirsi ma probabilmente più difficile a farsi. Soprattutto sembra essere difficile per una ragazza così giovane! Dove può un adolescente trovare la motivazione per intraprendere un percorso fatto comunque di limitazioni e di imposizioni? Forse G. ha trovato la forza nel senso di rivalsa verso quei suoi coetanei che la prendono in giro. Non lo da a vedere, ma è facile pensare che quelle frasi la feriscano in qualche modo. Quando abbiamo affrontato l’argomento mi ha detto usando le espressioni tipiche della sua età: “Sì capita che mi prendano in giro, ma io la butto in caciara; mi metto a scherzare anch’io e proprio per questo non insistono più di tanto…”.
Brava G.! Il senso di rivalsa ce l’ha anche nei confronti dei suoi genitori. Dopo tanti tentativi falliti cominciano a pensare che la ragazza non abbia abbastanza forza di volontà. G. è impaziente di dimostrargli il contrario.
Come abbiamo potuto vedere l’insulinoresitenza gioca un ruolo centrale nella patogenesi della policistosi ovarica. Ad oggi numerosi sono gli studi in grado di dimostrare l’utilità del trattamento con metformina. Si tratta di un biguanide il cui effetto è quello di aumentare la sensibilità epatica all’insulina e di ridurre i livelli di insulinemia.
Ma che cosa è possibile fare ricorrendo ad un uso appropriato degli alimenti e degli integratori alimentari? È bene che l’alimentazione si basi sul consumo prevalente di verdura e di proteine di buona qualità. In questo modo sarà soddisfatto il fabbisogno quotidiano in amminoacidi, in fibra alimentare, in vitamine e in sali minerali.
I carboidrati complessi non vanno affatto aboliti ma verranno privilegiati i prodotti integrali in luogo di quelli ottenuti con l’impiego di farine raffinate. I grassi dovranno essere di buona qualità e il rapporto tra grassi mono-insaturi e grassi saturi dovrà essere di gran lunga a favore dei primi. Importantissimo, come dimostrato da diversi studi sull’argomento, il ruolo degli omega-3 presenti in particolar modo nel pesce azzurro e nella frutta secca.
Sindrome dell’ovaio policistico: gli integratori
Sovente si riscontra la necessità di ricorrere ad un pannello di integratori alimentari che agendo in sinergia sono in grado di contrastare l’insulinoresistenza. Tra questi citiamo il coenzima-Q10, la L-carnitina, il D-ribosio e il magnesio. I primi tre agiscono a vario livello promuovendo il metabolismo cellulare. Per quanto riguarda il magnesio si pensa che un suo basso livello possa comportare una diminuzione di attività della tirosin-chinasi e che questo fenomeno permetta l’insorgenza dell’insulinoresistenza.
Sono già quattro mesi che G. segue un’alimentazione corretta. Ha aumentato il livello di attività quotidiana inserendo a giorni alterni una passeggiata a passo sostenuto. Ha una grande determinazione e i risultati ottenuti fin qui non possono fare altro che rafforzarla nei suoi propositi.
Ha perso 10 kg, quasi tutti di massa grassa. Ha ridotto la sua circonferenza vita di 10 cm. Il suo indice di massa corporea è passato da 37,7 a 34,2. Non è più un’obesa di II grado e presto non sarà più neanche obesa!
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