In biologia si definisce simbiosi *l’associazione fra due o più individui appartenenti a specie vegetali o animali diverse in modo che dalla vita in comune traggano vantaggio entrambi, ovvero una sola ma senza danneggiare l’altra (in questo caso sarebbe più corretto parlare di “commensalismo” o di “inquilinismo”)*.
La relazione con i nostri batteri buoni o probiotici è invece un tipico esempio di SIMBIOSI MUTIALISTICA… ovvero stiamo assieme perché ognuna delle due parti contribuisce in maniera egregia al benessere reciproco.
In particolare i batteri probiotici producono, a partire dalle fibre alimentari, acido proprionico, butirrico e acetico. Si tratta di acidi grassi formati da meno di 6 atomi di carbonio e per questo indicati con la sigla SCFA (Short Chain Fatty Acids, Acidi Grassi a Catena Breve).
Dunque se disponiamo della giusta flora batterica e consumiamo una dieta che dia il giusto spazio alle verdure… allora avremo un’adeguata produzione di acido butirrico. Secondo i LARN (Livelli di Assunzione Raccomandata per la Popolazione Italiana) bisogna *preferire alimenti naturalmente ricchi in fibra alimentare quali cereali integrali, legumi, frutta e verdura e, negli adulti, consumare almeno 25 g/die di fibra alimentare anche in caso di apporti energetici <2000 kcal/die*. Questo obiettivo si realizza prevedendo ad ogni pasto una porzione abbondante di verdure.
Ma perché l’acido butirrico è così importante? Che cosa ci può essere di buono in una molecola acida che ha a che fare con il burro?
Il punto essenziale è che a differenza della gran parte delle nostre cellule che sono in grado di utilizzare il glucosio come fonte primaria di energia, i colonociti (le cellule del colon) utilizzano per il 60-70% proprio l’acido butirrico. Come qualsiasi altro “acido grasso” l’acido butirrico può essere avviato ad un processo metabolico noto come beta-ossidazione. I colonociti appartengono a quell’insieme di cellule che nel nostro organismo va incontro ad un rapido turn-over: vengono sostituiti ogni 7 giorni e questo elevato tasso di proliferazione richiede un’elevata spesa energetica. In questa condizione l’acido butirrico diventa un prezioso substrato da cui ricavare la giusta quantità di energia.
La cosa strabiliante è che i colonociti eventualmente trasformati in senso neoplastico non hanno la possibilità di ossidare l’acido butirrico. La cellula cancerosa ha un metabolismo diverso da quello della cellula sana. Gli esperti parlano di “effetto Warburg” riferendosi al fenomeno per cui la cellula tumorale è in grado di utilizzare, a scopo energetico, grandi quantità di glucosio anche in carenza di ossigeno.
Sta di fatto che, a causa di questo shift metabolico (dalla beta-ossidazione a carico dell’acido butirrico alla glicolisi ad ogni costo), grandi quantità di butirrato, non altrimenti utilizzato, tendono ad accumularsi nel nucleo delle cellule tumorali. E che cosa fa il butirrato nel nucleo di una cellula tumorale?
Una cosa grandiosa!
Sappiamo che nel DNA di ogni cellula è racchiuso l’intero patrimonio informazionale e che a fronte di questa mole enciclopedica di informazioni c’è modo e maniera di far sì che alcune di queste diventino esecutive ed altre no. Per indicare questo complesso fenomeno usiamo l’espressione “controllo dell’espressione genica“.
Il DNA sarebbe una molecola troppo voluminosa per poter essere confinata nello spazio ristretto di un nucleo e così la Natura lo ha complessato con delle proteine dette istoni. Nel suo stato più compatto il DNA può essere paragonato ad un filo strettamente avvolto attorno a dei rocchetti, gli istoni per l’appunto.
Così se vogliamo accedere alle informazioni di cui è depositario il DNA dobbiamo prima srotolarlo dai rocchetti. Ed è qui che interviene un enzima noto come istone-acetil-transferasi (Histone Acetyl Transferase, HATs). Con l’aggiunta di gruppi acetile agli istoni l’interazione DNA/istone si “allenta” ed i fattori di trascrizione (il cui ruolo è quello di estrapolare l’informazione contenuta del DNA) possono finalmente agire.
Ma esistono anche le istone-deacetilasi (Histone DeACitylase, HDACs) responsabili della rimozione dei gruppi acetile dagli istoni e del blocco della trascrizione. L’acido butirrico agisce come inibitore della HDACs aumentando di conseguenza l’attività trascrizionale del DNA. Ed ecco che questo acido grasso una volta all’interno della cellula tumorale, come un novello cavallo di Troia, induce la cellula tumorale a rimodulare il suo comportamento attraverso un fine controllo dell’espressione genica. La sintesi di proteine ad azione pro-apoptotica (l’apoptosi è la morte cellulare programmata), resa possibile dallo “srotolamento” del DNA, induce le cellule tumorali a siucidarsi.
Bibliografia
Rodrigues LM, Uribe-Lewis S, Madhu B, Honess DJ, Stubbs M, Griffiths JR. The action of β-hydroxybutyrate on the growth, metabolism and global histone H3 acetylation of spontaneous mouse mammary tumours: evidence of a β-hydroxybutyrate paradox. Cancer Metab. 2017 Feb 28;5:4. Cancer Reasearch UK Cambridge Institute, Li Ha Shing Centre, Robisnson Way, Cambridge, CB2 ORE UK.
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