La carnitina è una piccola molecola idrosolubile ad azione vitamin-like il cui ruolo primario è legato al metabolismo energetico della cellula. Sintetizzata a livello epatico e renale a partire dai due aminoacidi essenziali lisina e metionina, la carnitina può essere definita dal punto di vista chimico uno zwittterione. Si tratta, infatti, di una molecola elettricamente neutra ma nella quale sono presenti cariche positive e cariche negative che si neutralizzano a vicenda.
Le migliori fonti alimentari di carnitina sono carne rossa, pollame, pesce, latte e derivati del latte. I soggetti adulti che seguono una dieta mista, con una buona rappresentanza di carne rossa e di altri prodotti di derivazione animale, arrivano ad assumere da 60 a 180 milligrammi di carnitina al giorno. I vegani per contro raggiungono quantitativi di 10-12 milligrammi.
La maggior parte della carnitina alimentare (dal 54 all’86%) viene assorbita a livello dell’intestino tenue. I reni tendono ad accumulare carnitina in modo da cederla in caso di bisogno. Per questa ragione anche le diete povere in carnitina raramente si associano ad una diminuzione della concentrazione ematica che tende invece a variare entro un range ristretto di valori.
Ad ogni modo malnutrizione, malassorbimento, insufficienza renale cronica e farmaci possono causare stati carenziali. In questi casi si ricorre all’integrazione. Piuttosto noto è l’integratore a base di L-carnitina della Bayer, disponibile in soluzione orale o in compresse masticabili (Carnitene). Recentemente si è dimostrato però che l’acetil-L-carnitina viene meglio assorbita a livello dell’intestino tenue rispetto all’L-carnitina.
Una delle funzioni più importanti della carnitina è quella di trasportare gli acidi grassi a lunga catena dal citosol alla matrice mitocondriale dove ha luogo la β-ossidazione. Questo ruolo è fondamentale poiché né gli acidi grassi liberi a lunga catena né i loro tioesteri (acil-S-CoA) possono attraversare da soli la membrana mitocondriale interna.
Facciamo uno sforzo di immaginazione e visualizziamo il mitocondrio con la sua membrana esterna che si affaccia sul citosol, con la membrana interna che si affaccia sulla matrice e tra le due lo spazio inter-membrana. L’enzima carnitina palmitoiltransferasi I (o CPT I) catalizza il trasferimento degli acili a lunga catena dal coenzima A (acil-S-Coa) alla carnitina. Si ottengono così le acil-carnitine. Queste riescono ad attraversare la membrana mitocondriale interna mediante un trasportatore indicato come carnitina/acilcarnitina translocasi. Il legame con la carnitina serve soltanto a rendere possibile questo passaggio. Una volta all’interno del mitocondrio gli acili vengono di nuovo trasferiti dalla carnitina al CoA-SH. A rendere possibile questa reazione è la carnitina palmitoiltransferasi II (o CPT II).
Se dovessimo fare una similitudine diremo che la carnitina è una specie di bus navetta che connette due linee metropolitane (citosol e matrice mitocondriale) che non si incontrano (nel nostro caso perché separate dalle membrane e dallo spazio inter-membrana). A far sì che la carnitina resa libera all’interno della matrice mitocondriale possa tornare nel citosol (come compete ad un bus navetta) ci pensa la carnitina/acilcarnitina translocasi che funziona come trasportatore attivo di tipo ad antiporto: mentre fa entrare le acil-carnitine fa uscire le molecole di carnitina libera.
Questo complesso sistema di trasporto serve a far sì che il pool di CoA extra-mitocondriale rimanga separato da quello mitocondriale. Mentre il CoA citosolico viene impiegato nella biosintesi degli acidi grassi e del colesterolo, il CoA mitocondriale serve per l’ossidazione degli acidi grassi. Ossidare gli acidi grassi significa avere una buona efficienza lipolitica. A fronte di questo meccanismo biochimico la domanda è: la carnitina serve per dimagrire?
Acetil carnitina per dimagrire
Proprio in virtù del suo ruolo nella β-ossidazione degli acidi grassi sono in molti ad ipotizzare che la carnitina assunta come integratore possa contribuire al dimagrimento. L’evidenza scientifica non ha fornito fin qui prove definitive della sua reale efficacia se si trascura qualche studio condotto su animali da laboratorio. Venuto meno l’iniziale entusiasmo è subentrato nei più un legittimo scetticismo tant’è che una delle keyword più cliccate sui motori di ricerca è “carnitina per dimagrire funziona?”
Perché però la carnitina non funziona come sarebbe lecito attendersi?
Prodotta a livello del fegato e dei reni a partire dai due amminoacidi essenziali lisina e metionina, la carnitina è difficilmente carente. Qualche problema di carenza potrebbe comparire nei vegani che pure assumono la lisina dai legumi e la metionina dai cereali.
Se integrare la carnitina non serve a risolvere un raro problema di carenza, allora l’inefficacia dell’integrazione ai fini del dimagrimento va ricondotta al meccanismo d’azione di questa molecola. I fattori limitanti potrebbero essere gli enzimi coinvolti nel trasporto degli acili attraverso la membrana mitocondriale (ovvero i già citati carnitina palmotoiltransferasi I e II e carnitina/acilcarnitina translocasi). Il “collo di bottiglia”, responsabile del rallentamento nel metabolismo degli acidi grassi a lunga catena, è con molta probabilità legato a questo pool enzimatico.
Non meno importante è poi la numerosità mitocondriale. È probabile che nel soggetto sovrappeso/obeso vi siano meno mitocondri del normale e che molti di questi non siano in un buono stato di salute. L’una e l’altra condizione hanno a che fare con la biogenesi mitocondriale e con il fenomeno dell’autofagia. Cosa ce ne facciamo di un bolo di carnitina se manchiamo del target, il mitocondrio per l’appunto? La carnitina in eccesso anziché favorire il processo di dimagrimento verrà metabolizzata a livello epatico ed eliminata attraverso l’emuntorio renale. Ecco dove va a finire il nostro integratore.
Ma si sa che siamo dei sistemi complessi e accanto al bianco e al nero ci sono anche diverse tonalità di grigio. Così non abbiamo necessità di demolire quanto detto fin qui per sostenere anche quanto segue. È noto che tra i vari fenomeni che sottendono al processo di invecchiamento (aging) vi sia anche il declino della funzione mitocondriale. Poiché la concentrazione di carnitina diminuisce con l’età è stata stabilita una correlazione tra i bassi livelli di carnitina e lo stato di salute delle nostre centraline elettriche. Studi condotti su ratti anziani hanno documentato che l’integrazione con alte dosi di L-carnitina e di acido alfa-lipoico contrastano la perdita di integrità e di funzione della membrana mitocondriale. Purtroppo al momento non ci sono studi equivalenti sugli esseri umani e a noi non rimane che da riflettere sulla scarsa efficacia della carnitina nei programmi di dimagrimento.
Un’altra labile speranza è quella che ha a che fare con l’insulino-resistenza. Uno dei marker istologici della resistenza all’insulina è l’accumulo di grasso ectopico (ad esempio a livello viscerale, epatico e muscolare). Alcune ricerche documentano come l’integrazione di L-carnitina per via endovenosa possa migliorare la sensibilità all’insulina nei soggetti diabetici, contribuendo a ridurre la quantità di grasso in sede muscolare e ad abbassare i livelli plasmatici di glicemia.
Nel dubbio dunque che la carnitina possa un po’ funzionare ed un po’ no, la grande certezza è che sicuramente non funziona per coloro che se ne stanno seduti sul divano crogiolandosi all’idea di aver assunto la “pillola magica” del dimagrimento.
Perché? Perché i trigliceridi presenti all’interno degli adipociti vengono utilizzati a scopo energetico soprattutto quando si compie un’attività fisica di media-lunga durata e di bassa intensità (65-75% della frequenza cardiaca massima ovvero 50-60% della VO2 max). Per poter essere usati dal muscolo in attività i trigliceridi devono essere dapprima degradati in una molecola di glicerolo e tre molecole di acidi grassi liberi (FFA, Fat Free Acids). Appena rilasciati dal glicerolo gli FFA possono entrare nel sangue ed essere trasportati in ogni parte dell’organismo penetrando nelle fibre muscolari per diffusione. Maggiore è la durata dell’esercizio, migliore è la preparazione fisica in chi pratica sport di endurance e più grande sarà l’efficacia della lipolisi. All’aumentare della concentrazione di FFA nel sangue aumenta anche il loro ingresso nelle fibre muscolari. L’ultimo passaggio è quello dell’ingresso degli FFA all’interno dei mitocondri ed è solo qui che abbiamo bisogno della carnitina!
Quando assumere carnitina per dimagrire
Si consiglia di assumere la carnitina a stomaco vuoto al fine di aumentarne la capacità di assorbimento. L’ideale sarebbe assumerla la mattina al risveglio. L’altro momento ottimale è 30-60 minuti prima di iniziare l’allenamento.
Acetil carnitina dosaggio per dimagrire
Esistono evidenze scientifiche del fatto che l’assunzione di dosi superiori ai 2 grammi non comporta alcun vantaggio aggiuntivo dal momento che vi è un limite all’assorbimento intestinale.
Quando integrare con carnitina?
Sulla base di quanto fin qui detto si comprende come l’integrazione con carnitina sia da imporre solo negli stati carenziali. Nelle altre condizioni (vedi dimagrimento) potremmo farne comunque a meno. Distinguiamo tra una Carenza Primaria Sistemica ed una Carenza Secondaria di carnitina.
- La Carenza Primaria Sistemica di Carnitina è una malattia genetica che colpisce il sistema di trasporto della carnitina. I primi sintomi compaiono già all’età di 5 anni e contemplano cardiomiopatie, debolezza muscolo-scheletrica e ipoglicemia. Una volta posta la diagnosi l’integrazione con carnitina è risolutiva.
- La Carenza Secondaria di Carnitina, legata a malnutrizione, a malassorbimento, ad insufficienza renale cronica, all’uso di farmaci (ad esempio alcuni antibiotici) che riducono l’assorbimento di carnitina e ne aumentano l’escrezione.
Carnitina e rischio cardiovascolare
L’invito alla cautela è giustificato dal fatto che “di più” non è sempre meglio. Nell’uomo la carnitina può essere metabolizzata prima a trimetilammina (TMA, TriMethylAmine) ad opera dei batteri intestinali e poi ad ossido di trimetilammina (TriMethylAmine-N-Oxide o TMAO) a livello epatico. Recentemente è stato possibile verificare che il TMAO regola diversi step nel metabolismo del colesterolo e promuove la formazione delle cellule schiumose (foam cells) a partire dai macrofagi che hanno inglobato le LDL ossidate. Si tratta di un passaggio centrale nella formazione e nella progressione della placca ateromasica.
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