Microbiota intestinale: la salute inizia da qui
Nel nostro organismo le cellule microbiche sono dieci volte più abbondanti delle cellule eucariotiche. Si tratta principalmente di batteri ma anche di virus e di protozoi che formano nel complesso quello che gli esperti chiamano il commensal microbiota o microbiota commensale. Nel solo intestino si contano cento trilioni di questi microrganismi appartenenti a più di 1.000 specie diverse.
Come tante altre scoperte in campo scientifico, anche quella del microbiota umano ha contribuito a minare il nostro egocentrismo. Con Copernico abbiamo preso atto che il nostro pianeta non è al centro dell’Universo. Con Darwin ci è stato detto che l’uomo non è che un animale tra i tanti. E adesso la scoperta del microbiota ci mette di fronte ad un’altra evidenza: siamo fatti per la gran parte di organismi unicellulari.
Scrive Michael D. Gershon nella prefazione del suo bellissimo libro “Il secondo cervello”: Poiché ci consideriamo speciali, qualsiasi cosa limiti la centralità della condizione umana è inevitabilmente guardata con sospetto, se non con vera e propria ostilità.
Il Progetto Genoma Umano, il cui scopo era quello di sequenziare l’intero DNA della nostra specie e di mappare i geni che compongono il nostro genoma, è stato portato a termine oramai 16 anni fa. Ci eravamo illusi che conoscendo a fondo la nostra genetica avremmo potuto trovare la cura per molte malattie. Ma le nostre aspettative sono state deluse. Tanto per cominciare si pensava che la specie umana possedesse centinaia di migliaia di geni. Ne sono stati trovati invece circa 30.000! Una pianta ne possiede 28.000, un verme 18.000. Per alcuni questa differenza non è sufficiente a spiegare la complessità dell’organismo umano rispetto a forme di vita più semplici.
E non è finita qui! Il nostro DNA è per il 99,99% identico a quello di qualsiasi altro essere umano per quanto differente possa esserne l’aspetto. Mentre siamo accumunati da una così profonda similitudine genetica ci dimostriamo molto più avari nel condividere i nostri microbi! Così, ad esempio, il nostro microbiota intestinale somiglia a quello di altri individui della nostra specie solo per il 10%!
È un’osservazione che diventa ancora più sbalorditiva se pensiamo ai nostri 30.000 geni codificanti proteine a fronte dei 2-20 milioni di geni provenienti dal nostro microbiota. Geneticamente parlando è come dire che siamo “umani” solo per l’1%, per il 99% siamo “microbici”!
Se all’insieme dei nostri geni diamo il nome di genoma, con il termine di microbioma ci riferiamo alla totalità dei geni provenienti dai microrganismi. Esiste un terzo termine che indica la somma di genoma e microbioma ed è ologenoma. È probabile che genoma e microbioma siano in grado di colloquiare tra di loro a mezzo dell’epigenetica cosicché l’ologenoma non può essere inteso solo come la somma di due parti, ma come un ampliamento smisurato del modo in cui “interpretiamo” l’informazione genetica.
Potremmo forse concludere che alla base della nostra diversità non ci sono i geni bensì i batteri? Una simile visione non sarebbe stata possibile fino a qualche anno fa. I primi studi sul microbiota erano basati sull’utilizzo dei terreni di coltura e sull’analisi al microscopio dei campioni fecali. Con questi metodi, ormai arcaici, sono stati individuati i generi Bacteroides, Clostridium, Fusobacterium, Bifidobacterium, Lactobacillus, Peptospretoccocus, Escherichia e Veillonella. Più recentemente l’utilizzo di tecniche basate sull’identificazione delle sequenze dell’RNA ribosomiale (rRNA) 16S ha consentito di studiare anche quei batteri che per la loro natura anaerobica ed estremofila non sono in grado di crescere sui normali terreni di coltura. Solo con l’avvento dell’analisi microscopica basata sullo strainig del DNA marcato con la DAPI (4’,6’-diaminido-2-fenilindolo) è stato possibile prendere atto della complessità microbica che abita dentro di noi.
Negli ultimi decenni la ricerca scientifica ha ampiamente dimostrato la relazione tra microbiota e salute umana. L’alterazione quali-quantitativa della flora batterica residente (condizione alla quale diamo il nome di disbiosi) è associata alle patologie a decorso cronico degenerativo tipiche della nostra era. Obesità, insulino-resistenza, diabete, malattie cardiovascolari, patologie neurodegenerative e neoplasie sono condizioni multifattoriali la cui genesi ed il cui decorso sono aggravati dalla presenza di una disbiosi intestinale.
Dieta e microbiota intestinale
Il modo in cui ci alimentiamo è senza dubbio il principale fattore determinante la composizione del nostro microbiota. Una dieta basata sul consumo prevalente di cereali integrali, legumi e verdure (sul modello della Dieta Mediterranea) porta alla formazione di un consorzio microbico che potremmo definire anti-infiammatorio. Al contrario la tipica dieta occidentale (o western diet secondo la terminologia anglosassone) è considerata un vero e proprio fattore di rischio per l’insorgenza delle patologie cronico-degenerative. Vale la pena sottolineare che una dieta pro-infiammatoria è causa di malattie anche a causa alla mediazione del microbiota intestinale.
Alimenti fermentati, meglio dei probiotici
L’uso della fermentazione nella conservazione di alimenti e bevande è una pratica antica. Il processo di fermentazione consente di conservare i cibi più a lungo, ne migliora le qualità organolettiche e le proprietà nutrizionali.
Tra i cibi che si prestano ad essere fermentati vanno citati:
- i latticini,
- le verdure,
- i legumi,
- i cereali,
- le radici e la frutta,
- nonché la carne ed il pesce.
Esiste una sostanziale confusione tra cibi fermentati e probiotici. Secondo alcuni gli alimenti fermentati sono la stessa cosa dei probiotici. La verità è che gli alimenti fermentati non sono probiotici sebbene possano contenerli. Il termine “probiotico” fu coniato per la prima volta nel 1974. Già Ilya Ilyich Metchnikoff, vincitore del premio Nobel per la Medicina nel 1908, aveva osservato l’effetto benefico di quelli che oggi vengono chiamati “probiotici”. La FAO/OMS ha dato la seguente definizione di probiotici: si tratta di “microrganismi vivi che, se somministrati in quantità adeguate, conferiscono benefici all’ospite”. Attualmente diversi tipi di batteri (ad es. Lactobacillus, Bifidobacterium, Streptococcus, Bacillus) sono usati come probiotici.
Nonostante il notevole contributo dei cibi fermentati nel trattamento delle malattie gastro-intestinali e gli effetti benefici sulla salute in generale, la raccomandazione ad un loro impiego costante non è stata ancora inclusa nelle linee guida sull’alimentazione. Mentre da una parte gli alimenti fermentati godono di una crescente popolarità tra i consumatori, dall’altra parte la ricerca scientifica sta muovendo i primi passi in questo settore. Non tutti gli alimenti fermentati contengono organismi vivi e vitali. La birra ed il vino, ad esempio, durante il loro processo produttivo subiscono dei passaggi che finiscono con il rimuovere i microrganismi. Altri alimenti fermentati come il pane vengono trattati termicamente e le alte temperature inattivano i lieviti responsabili del processo di lievitazione.
Il processo di fermentazione
La fermentazione arricchisce gli alimenti di vitamine e di sali minerali anche questo accade anche se il processo produttivo dovesse prevedere la pastorizzazione che azzera la carica microbica.
La fermentazione converte gli zuccheri in acidi organici, gas, alcoli e anidride carbonica, e offre numerosi benefici:
- migliora le caratteristiche organolettiche dell’alimento,
- migliora il valore nutrizionale (peptidi bioattivi),
- rimuove composti alimentari tossici o indesiderabili (come, ad esempio l’acido fitico e i composti fenolici),
- apporta batteri quali Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus e Streptococcus thermophilus che non hanno la capacità di colonizzare l’ambiente intestinale, ma sono comunque in grado di contrastare la crescita di batteri potenzialmente patogeni (patobionti) a vantaggio dei batteri buoni (probiotici),
In virtù di queste proprietà gli alimenti fermentati rafforzano il sistema immunitario e la funzione metabolica.
Consumare con regolarità cibi e bevande fermentati, in particolare verdura e frutta non sbucciata e non pastorizzata, migliora la biodisponibilità dei componenti bioattivi presenti negli alimenti, fornendo fibre alimentari e micronutrienti essenziali come oligoelementi e sostanze fitochimiche, insieme ad enzimi, batteri lattici e acidi organici, tutti fattori cruciali per una buona salute. I peptidi bioattivi presenti nei cibi fermentati (ad esempio, immunoglobuline, peptidi antibatterici, proteine antimicrobiche, oligosaccaridi, lipidi e altri componenti “minori”) possono essere utilizzati nella formulazione di nutraceutici.
Che cosa succede ai batteri che ingeriamo?
I cibi fermentati e i probiotici rappresentano la nostra principale fonte di batteri buoni. Da sempre però ci si interroga su quale sia il destino di bifidobatteri e lattobacilli una volta che questi siano stati ingeriti. Ce li immaginiamo mentre discendono lungo il tubo digerente e non saremmo disposti a scommettere di ritrovarli vivi e vitali nell’intestino.
Dall’esame della bibliografia scientifica sembra che il microbiota intestinale non subisca grandi variazioni quando assumiamo alimenti contenenti batteri o probiotici. Mentre i batteri ingeriti finiscono con il costituire un “microbiota transiente” solo le specie più resistenti (Bifidobacterium animalis, Lactobacillus casei, Lactobacillus rhamnosus e Lactobacillus plantarum) arrivano vive nell’intestino.
Ma al di là del fatto che i probiotici possano o meno ripopolare un intestino in subbuglio il loro effetto è principalmente quello di inibire la proliferazione dei patogeni. Riescono a farlo perché competono per gli stessi substrati energetici e perché condividono gli stessi siti di adesione alle pareti intestinali.
Inoltre, la fermentazione operata dai probiotici culmina con la produzione di acido lattico e di acidi carbossilici a catena corta; di conseguenza il pH luminale si abbassa al punto da contrastare la crescita dei batteri patogeni. È così che la flora patogena si riduce e con essa anche tutti i suoi metaboliti tossici (ammoniaca, amine biogene, nitrosamine e acidi biliari secondari).
Elenco di alimenti fermentati
Partendo dal presupposto che ogni alimento può essere fermentato, qui di seguito vi riporto la lista dei fermentati più noti
- miso (giapponese)
- kombucha (cinese)
- kimchi (coreano)
- labneh (mediorientale)
- lassi (indiano)
- crauti
- cetrioli e carote sott’aceto
- yogurt
- kefir
- garum (colatura di alici)
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