Il colesterolo alto è un vero incubo. A sentire certe pubblicità sembra che si debba morire da un momento all’altro per colpa di quell’asterisco sulle analisi del sangue. La salute, però, è una cosa ben più complessa e passa anche per il microbiota intestinale.

Microbiota intestinale: i nostri amici/nemici batterici

Si ritiene che durante la vita intrauterina siamo sterili. I batteri provenienti dalla madre e dall’ambiente circostante colonizzano rapidamente l’intestino del bambino al momento della nascita e subito dopo. Il microbiota cambia drasticamente durante i primi anni di vita sotto l’effetto di diversi fattori (ambiente, genotipo dell’ospite e passaggio ad una dieta per adulti). La composizione finale del microbiota è quindi unica e specifica per ciascun individuo.

È ormai universalmente noto che le comunità di microbi che vivono nel nostro intestino funzionano come un organo con diverse funzioni metaboliche, immunologiche ed endocrine in grado di influenzare la salute dell’intero organismo. Il microbioma contiene almeno 100 volte più geni di quanti non ne siamo contenuti nel genoma umano. Molti di questi geni fanno per noi cose che da soli non saremmo in grado di fare. Ad esempio, il microbiota fermenta componenti alimentari altrimenti indigeribili, sintetizza vitamine e altri micronutrienti essenziali, metabolizza tossine e agenti cancerogeni (proteggendoci così dal tumore), assicura la maturazione del sistema immunitario, influenza la crescita e la differenziazione degli enterociti, regola l’angiogenesi intestinale, protegge contro i patogeni enterici e converte gli steroidi.

Gli steroidi sono una famiglia di composti organici costituiti da un nucleo di cinque anelli (peridrociclopentanofenantrene). Diverse classi di steroidi (tra cui il colesterolo, gli acidi biliari e gli ormoni steroidei) vengono metabolizzati dalla flora batterica residente nell’intestino.

Metabolismo del colesterolo ad opera del microbiota intestinale

Ogni giorno, fino a 1 g di colesterolo entra nel colon. Fatte salve le variazioni interindividuali, solo la metà del colesterolo alimentare viene assorbito, principalmente nel duodeno e nel digiuno prossimale. Il colesterolo alimentare non assorbito è pari a circa 200 mg/die e si aggiunge alla secrezione di colesterolo biliare (la principale fonte di colesterolo nel lume intestinale).

Tutto il colesterolo che arriva nell’intestino crasso può essere metabolizzato dai batteri ivi residenti. Già a partire dagli anni ’30 è stato dimostrato che il colesterolo viene ridotto a coprostanolo e in quantità minori a coprostanone dal microbiota intestinale. Nell’uomo la conversione microbica del colesterolo inizia durante la seconda metà del primo anno di vita. Diversi studi hanno anche riportato che il tasso di conversione microbica da colesterolo a coprostanolo nelle popolazioni umane è bimodale, con una maggioranza di buoni convertitori (conversione del colesterolo quasi completa) e una minoranza di convertitori inefficienti (contenuto di coprostanolo che rappresenta meno di un terzo del contenuto di steroli fecali neutri).

L’efficienza della conversione del colesterolo deriva principalmente dall’abbondanza di batteri che riducono il colesterolo. In uno studio che includeva quindici volontari sani, è stato stabilito che il livello di batteri  deve essere di almeno 106 cellule/g (peso umido) di feci per poter convertire efficientemente il colesterolo nell’intestino umano, mentre chi ha più di 108 batteri/g  porta a termine una conversione quasi completa.

Sono stati fatti numerosi tentativi  per isolare i batteri capaci di ridurre il colesterolo, perché il colesterolo una volta ridotto non può più essere assorbito ma viene eliminato attraverso le feci. Questo significa che maggiore è l’efficacia di conversione e più basso sarà il livello di colesterolemia (che scoperta entusiasmante)!

Un primo ceppo che riduce il colesterolo è stato isolato dal contenuto cecale di ratto utilizzando come terreno di coltura uno sfarinato di tessuto cerebrale di vitello ricco di colesterolo.  Qualche anno più tardi diversi ceppi sono stati isolati dalle feci dei babbuini. Tutti questi ceppi, assegnati al genere Eubacterium, non sono però disponibili nelle ceppoteche.

La ricerca va avanti ed è così che, recentemente, da una laguna di liquami, è stato isolato un piccolo coccobacillo gram-positivo anaerobico che riduce il colesterolo a coprostanolo. È stato denominato Eubacterium coprostanoligenes ATCC 51222. Per trovarsi in una laguna fatta da liquami non si tratta certamente di un batterio “umano” e questo lo rende di certo meno interessante da un punto di vista terapeutico.

Solo recentemente si è arrivati ad isolare e caratterizzare il primo batterio che riduce il colesterolo. A differenza di tutti gli altri ceppi isolati finora, questo  appartiene al genere Bacteroides. Più precisamente, questo ceppo, che è stato chiamato Bacteroides sp. ceppo D8, è strettamente correlato alla specie Dorei del Phylum Bacteroidetes.

Il coprostanolo, a differenza del colesterolo, è scarsamente assorbito dall’intestino umano. Quindi, la conversione del colesterolo in coprostanolo potrebbe essere un modo per ridurre il colesterolo sierico nell’uomo e così il rischio di malattie cardiovascolari. In uno studio recente è stato dimostrato che la somministrazione orale di E. coprostanoligenes ha determinato una significativa riduzione della concentrazione plasmatica di colesterolo in conigli ipercolesterolemici.

Colesterolo ed acidi biliari

Gli acidi biliari primari (nell’uomo, gli acidi colico e chenodeossicolico) sono sintetizzati a partire dal colesterolo nel fegato e coniugati a taurina o glicina tramite un legame ammidico al carbossile C24. Vengono quindi espulsi attraverso i canalicoli biliari fino a raggiungere la cistifellea ed il duodeno. Più del 95% degli acidi biliari secreti nella bile viene riassorbito nell’ileo distale e ritorna al fegato. Questo processo è chiamato circolazione enteroepatica e ogni giorno si verificano da quattro a dodici cicli. La funzione principale degli acidi biliari è di rendere possibile l’assorbimento dei lipidi alimentari e dei nutrienti liposolubili. Tuttavia, gli viene attribuito anche il ruolo di molecole di segnale in grado di attivare il recettore del farnesoide X (FXR) o il recettore accoppiato a proteine ​​G (TGR5). Pertanto, gli acidi biliari possono modulare i metabolismi lipidici, glicemici, energetici e farmacologici nonché la loro stessa biosintesi. La quota degli acidi biliari che sfugge alla circolazione enteroepatica (da 200 a 800 mg al giorno nell’uomo) passa nel colon dove subisce il metabolismo batterico. Queste conversioni batteriche compaiono molto presto nella vita in quanto sono stati identificati 16 diversi acidi biliari già nel meconio. Le principali reazioni di conversione dei sali biliari nell’intestino umano comprendono:

  1. la deconiugazione,
  2. l’ossidazione,
  3. l’epimerizzazione,
  4. la deidrossilazione,
  5. l’esterificazione,
  6. la desolfatazione

e tutte queste reazioni portano alla presenza di oltre 20 diversi acidi biliari secondari nelle feci umane.

Studi recenti hanno rivelato che gli acidi biliari esercitano una gamma molto più ampia di attività biologiche di quelle inizialmente note. È stato persino dimostrato che gli acidi biliari secondari prodotti dal microbiota intestinale sono presenti nei tessuti periferici, inclusi fegato, reni e cuore, sottolineando la loro possibile ampia influenza sull’omeostasi dei mammiferi. Pertanto, il metabolismo degli acidi biliari da parte del microbiota intestinale può favorire la salute oppure l’insorgenza della malattia a seconda della quantità e del tipo di acidi biliari secondari prodotti. Come esempi, la deidrossilazione dell’acido chenodeossicolico porta all’acido litocolico che è tossico per le cellule del fegato ed è stato collegato alla carcinogenesi del colon. Allo stesso modo, alti livelli di acido desossicolico (noto per causare danni al DNA) nel sangue e nelle feci sono associati ad un aumento del rischio di aterosclerosi, calcoli biliari e cancro del colon e del fegato. Viceversa, l’acido ursodesossicolico, prodotto dall’epimerizzazione del gruppo 7α-idrossile dell’acido chenodeossicolico, è ritenuto essere chemio-preventivo e viene usato per trattare i calcoli biliari di colesterolo. Potremmo guardare  a questo fenomeno come ad un circolo vizioso in cui una malattia porta ad una disbiosi che porta ad un pool di acidi biliari alterato in grado di peggiorare lo stato di malattia. È stato  dimostrato che un aumento dell’acido taurocolico, dovuto all’ingestione di grasso del latte, stimola un patobionte che riduce il solfito, la Bilophila wandsworthia,  ed è in grado di causare colite in topi geneticamente suscettibili che mancano di interleuchina-10. La disbiosi osservata nella malattia infiammatoria intestinale porta ad una diminuzione dell’attività di deconiugazione e desolfatazione e quindi ad una diversa composizione del pool degli acidi biliari.

Conclusioni

Il metabolismo del colesterolo e degli acidi biliari da parte del microbiota intestinale è stato ampiamente studiato, ma fin qui le ricerche sono state condotte ricorrendo principalmente alle tecniche della microbiologia classica. Le tecniche molecolari, in particolare il sequenziamento dei genomi batterici e del microbioma intestinale umano, dovrebbero consentire la scoperta di nuovi geni coinvolti in questi metabolismi. Sarà così possibile conoscere a fondo i batteri convertitori di steroidi e comprendere la relazione esistente tra popolazioni batteriche e rischio di malattia. Mi esalta l’idea che tra non molto per trattare le dislipidemie non avremo le sole statine, tanto venerate dai cardiologi, ma saremo costretti a pensare al microbiota intestinale come target di terapia.

 

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