Si arriva dal nutrizionista con la fatidica domanda “Dottore, quanto dovrei pesare?” Domanda mica da poco… perché non è detto che il nostro peso debba essere lo stesso della nostra amica che è alta quanto noi.
A questo punto il nutrizionista si mette all’opera e dopo aver preso un paio di misure (peso e statura), con la calcolatrice alla mano (i calcoli a mente non sono il nostro forte), stabilisce il nostro Indice di Massa Corporea.
L’Indice di Massa Corporea (IMC o BMI, Body Mass Index) è il rapporto tra il peso espresso in chilogrammi e la statura espressa in metri ed elevata al quadrato. Se il valore che si ricava da questo calcolo è compreso tra 18,5 e 24,9 siamo in condizioni di normopeso. Si parla invece di sovrappeso (o con un termine meno simpatico di pre-obesità) per valori compresi tra 25 e 29,9. Dopo il 30 avremo un’obesità di I grado (30-34,9), di II grado (35-39,9) e di III grado ≥ 40,0.
Il limite del BMI è quello di non tener conto della composizione corporea ovvero della ripartizione del peso in massa grassa e in massa magra (Modello Bicompartimentale dato dalla formula Peso corporeo = Massa Grassa + Massa Magra). Così, se ci si limita al solo calcolo del BMI, può succedere che un bodybuilder venga “interpretato” come un soggetto obeso. Al giorno d’oggi nessun nutrizionista si limiterebbe al solo calcolo del BMI per poter stabilire il peso ideale della persona che ha di fronte!
Ed infatti, forte della sua scienza, dopo aver calcolato il BMI ed dopo essersi dilungato sulla scarsa affidabilità di questo indice, il nutrizionista (assolutamente determinato a svelare la nostra composizione corporea) comincia a destreggiarsi con il suo armamentario (che comprende, come dico io, qualche strumento di tortura).
La plicometria consiste nella misurazione delle pliche cutanee in particolari distretti corporei. Per dirla in parole più semplici “si pizzica” la pelle in specifici punti facendo in modo che cute ed ipoderma si separino dal muscolo sottostante. Con un particolare strumento che altro non è se non una pinza graduata (chiamata plicometro dal clinico e “cicciometro” dal paziente) si misura lo spessore della piega cutanea altresì detta plica. La tecnica, che risente molto della manualità dell’operatore, si fonda sul presupposto che esiste una correlazione tra lo spessore del tessuto adiposo sottocutaneo e la quantità di grasso totale corporeo.
Ed ora una riflessione di carattere affettivo… il plicometro sta al nutrizionista come il fonendoscopio sta al cardiologo. Cosa sarebbe un nutrizionista senza il suo plicometro? C’è chi ha un Harpender e chi un Holtain (le due principali marche di questo strumento) ma per tutti l’obiettivo è quello di stabilire la distanza millimetrica tra le due pinze con buona pace del paziente che accetta di farsi “pinzare” (… non è che abbia altre, la vera scelta l’ha fatta all’inizio decidendo di affidarsi al nutrizionista).
Nella plicometria secondo Durnin e Womersley le pliche prese in esame sono 4 (e vi dice bene… perché quelli ossessionati dalla plicometria… di pliche ne prendono uno scatafascio): la bicipitale (faccia anteriore del braccio), la tricipitale (faccia posteriore del braccio), la sottoscapolare (angolo inferiore della scapola) e la sovrailiaca (a livello della spina iliaca anteriore-superiore). L’applicazione della formula delle 4 pliche consente di stimare la densità corporea e, una volta nota la densità corporea, attraverso la formula di Siri sarà possibile stimare la percentuale di massa grassa. Ma non è finita qui. Punto di forza della plicometria è quello di stabilire la distrettualità (ovvero la distribuzione) del grasso corporeo. L’applicazione di questa tecnica risponde anche alla domanda “Dov’è che ho più grasso: sull’addome, oppure sulle cosce o ancora sul tronco?”. E non è che sia possibile stabilirlo con la sola osservazione perché si tratta di differenze “millimetriche”. A cosa serve, vi chiederete voi, conoscere la distribuzione del grasso corporeo? Il nutrizionista-tipo ha l’abitudine di dilungarsi in appassionate spiegazioni sulla potenziale patogenicità del grasso addominale. Se c’è tanto grasso a livello delle pliche sovrailiaca e addominale è probabile che ci sia tanto grasso anche nelle profondità dell’addome, attorno agli organi interni e addirittura nel parenchima epatico (fegato grasso o epatosteatosi). Questo grasso, detto “ectopico” perché sta dove non dovrebbe stare, è responsabile della famosa Infiammazione Sistemica di Basso Grado (Low Grade Chronic Inflammation) considerata oggi la causa di tutte le malattie cronico-degenerative (infarto, demenza senile, artrosi, neoplasie e tutto quello che ci spaventa del fatto di invecchiare).
Un’altra tecnica ampiamente usata è l’impedenziometria. L’impedenziometro è un apparecchio in grado di generare corrente elettrica alternata a bassa frequenza. La corrente viene veicolata attraverso i tessuti biologici per mezzo di due elettrodi iniettori (niente paura… non c’è nulla di invasivo… si tratta di cerotti provvisti di uno spesso strato di gel). Decurtata dalla resistenza che ha incontrato al suo passaggio, la corrente in uscita passa per i due elettrodi sensori. Di fatto l’impedenziometro è un “acquometro”. Quello che fa è misurare l’acqua all’interno dei tessuti biologici. Tanti più liquidi ci sono nel corpo e minore sarà la resistenza che la corrente incontra al suo passaggio. Al contrario il grasso si oppone la passaggio della corrente e si associa ad una più alta resistenza. Una volta nota la quantità di acqua totale corporea specifici algoritmi consentono di giungere fino alla stima della massa grassa e della massa magra. Ora se il grasso (quello essenziale alla vita perché presente a livello di membrana cellulare, di sistema nervoso e nelle donne a livello di seno e fianchi e quello di deposito) è sempre e solo grasso, la massa magra al contrario è estremamente eterogenea. Dentro alla massa magra ci stanno i muscoli e gli organi interni, lo scheletro e i liquidi corporei, il sistema connettivale. Di fronte a questa complessità merito della bioimpedenza è anche quello di stimare la Massa Cellulare Metabolicamente Attiva (Body Cell Mass, BCM). Tra tutte le “cose” che compongono la massa magra sono i muscoli e gli organi interni i tessuti a maggior dispendio energetico. E se abbiamo tanti muscoli e organi interni floridi (non dimentichiamo che gli organi interni sono fatti di muscolatura liscia e quando perdiamo peso con diete sconsiderate anche gli organi interni si depotenziano) avremmo anche la necessità di consumare tante energie ogni giorno.
A questo punto, noti il BMI e la percentuale di massa grassa, stabilire quale dovrà essere il peso ideale è un gioco da ragazzi. Bisognerà perdere tanto peso quanto sarà necessario per avere un BMI nel range del normopeso e una percentuale di grasso corporeo compresa tra il 10% ed il 18% per gli uomini e tra il 18% ed il 26-28% per le donne.
Ma, noto l’obiettivo, qual è la strategia giusta per raggiungere il peso ideale?
Se è vero che ingrassiamo ogni volta che assumiamo più calorie di quante non ne consumiamo, la soluzione al sovrappeso e all’obesità è la “dieta ipocalorica” caratterizzata da un apporto energetico inferiore al Dispendio Calorico Totale Giornaliero.
Ma attenzione! Se si opta per una “dieta veloce” ad apporto calorico molto basso… il rischio è che si possa instaurare una resistenza alla perdita del grasso corporeo. In condizioni estreme (che simulino una carestia) l’organismo decide di sacrificare i muscoli mantenendo intatto il grasso di deposito (che per analogia potremmo paragonare al nostro conto in banca). Per chi non mangia abbastanza i muscoli sono come i mobili di un nobile decaduto. Durante i freddi inverni, una volta finita la legna da ardere, si cominceranno a bruciare tavoli e sedie!
Qual è allora la quantità di grasso che possiamo perdere nell’unità di tempo senza che l’organismo entri in difesa? La risposta è: non più di un chilo alla settimana corrispondente a circa 9000 kcal. Per conoscere il deficit energetico giornaliero basta dividere 9000 per 7 (i giorni della settimana) ed otterremmo circa 1200 kcal. Se il nostro Dispendio Calorico Totale Giornaliero è di 2500 kcal per perdere un chilo a settimana dovremmo assumere giornalmente 1300 kcal.
Ma poiché non possiamo ridurre tutto ad un semplice calcolo matematico, nell’impostare la dieta dobbiamo fare attenzione a coprire la spesa corrispondente almeno al nostro metabolismo basale (in caso contrario il rischio è quello di cominciare a bruciare “i mobili”). Con questo termine ci riferiamo alla quota di energia che consumiamo anche quando siamo completamente fermi. E’ l’energia che serve per far battere il cuore, per far funzionare reni, fegato e intestino.
La stima del metabolismo basale è, dopo lo studio della composizione corporea, l’altra grande passione di ogni nutrizionista. Esistono diverse formule predittive del metabolismo basale, ognuna con la sua percentuale di errore, ed esistono anche tecniche di misurazione (calorimetria diretta ed indiretta).
Avevate idea di una simile complessità? Per questa e per mille altre ragioni la dieta adatta a voi non può essere quella che vi viene suggerita dal vicino di casa, quella della rivista patinata, quella prestampata che esce dal cassetto di un bravo medico o quella affidata al marketing come un qualsiasi prodotto da vendere con tanto di brand!
Dottoressa Roberta sei senza dubbio la migliore, le tue informazioni sempre precise e tu sempre pronta ad aiutare. Grazie
Grazie Tiziana!!!!