Obesità

L’obesità è una patologia metabolica di proporzioni epidemiche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sostiene che l’obesità rappresenta il più grande problema di salute cronica globale negli adulti e una delle principali cause di invalidità e di morte. Si prevede che nel 2025 il 18% degli uomini e il 21% delle donne sarà affetto da obesità, mentre il 40% della popolazione globale sarà in condizioni di preobesità. È un problema che riguarda tutte le fasce d’età con un allarmante fenomeno di anticipazione. Sono sempre più colpite le età pediatriche.

Obesità: fattori genetici e ambientali

L’obesità è una malattia e, come tutte le malattie, merita i suoi farmaci. Ci si ammala di obesità per mille motivi diversi. Ci può essere una genetica predisponente ma per quello che sappiamo i fattori ambientali hanno un peso maggiore. Per ambiente intendiamo tutto ciò che è esterno a noi a cominciare da quello che sperimentiamo durante la vita intrauterina.

Come sta mangiando la nostra mamma? Sta andando incontro ad un dimagrimento nei primi mesi di gravidanza per colpa della nausea o dell’incapacità di trattenere il cibo nello stomaco? Al contrario sta ingrassando per via dell’insulino-resistenza? Ha sviluppato un diabete gestazionale? Siamo nati da un parto cesareo oppure siamo stati esposti ad un trattamento con antibiotici in epoca molto precoce (vedi a tal proposito la prassi di infondere farmaci antibatterici durante il travaglio nel caso in cui il tampone vaginale sia risultato positvo per Streptococcus agalactiae)? Siamo stati allattati al seno oppure con un latte in formula? Siamo cresciuti in un ambiente non sereno? Abbiamo subito bullismo? Quante sono le variabili in essere? Infinite… Ora rileggete ognuna delle domande poste e quando la risposta è sì… chiedetevi “Che responsabilità avevo io in questa circostanza?” Che responsabilità ha un embione? Un feto? Un bambino?

Come diagnosticare l’obesità?

L’obesità è classicamente definita in base all’Indice di Massa Corporea (BMI o Body Mass Index) calcolato come il rapporto tra il peso corporeo espresso in cilogrammi diviso per l’altezza espressa in metri al quadrato.

Si inizia a parlare di obesità per valori di BMI pari o superiori a 30. Si distingue un’obesità di primo grado (30-35 di BMI), una di secondo grado (35-40) e una di terzo grado per valori superiori a 40.

In base a questo parametro, in Italia il 35,3% della popolazione adulta risulta in sovrappeso e il 9,8% è affetto da obesitàL’Associazione Europea per lo studio dell’obesità (EASO) ha recentemente consigliato di migliorare la diagnosi basandosi su tre dimensioni, in aggiunta al calcolo del BMI:

Eziologia 

Grado di adiposità 

Rischi per la salute

Un passaggio importante è quello che permette di determinare la quantità totale, la distribuzione e la funzione del tessuto adiposo. A tal fine abbiamo gli strumenti e le conoscenze.

In particolare, la valutazione della distribuzione del grasso corporeo dovrebbe prendere in considerazione l’accumulo di grasso viscerale ed ectopico rispetto alla quantità di tessuto adiposo sottocutaneo. Nella pratica clinica il BMI è utilizzato per fare diagnosi di sovrappeso o obesità e per definire il grado di quest’ultima, mentre la misurazione della circonferenza addominale o il rapporto vita/statura (Waist to Height ratio) permettono di valutare facilmente il grasso viscerale.

Si fa diagnosi di obesità viscerale (detta anche obesità centrale) in presenza di una circonferenza addominale ≥94 cm negli uomini e ≥80 cm nelle donne non in gravidanza o per valori di rapporto vita/statura superiore a 0,5 per entrambe i sessi. 

Esiste un’obesità sana?

Bisogna distinguere due fenotipi di obesità: il paziente con obesità metabolicamente malato e quello metabolicamente sanoIl primo fenotipo è caratterizzato dalla presenza di adipociti giunti già al loro massimo volume. Dal momento che le cellule adipose presenti nel tessuto sottocutaneo hanno esaurito la loro capacità di stoccare il grasso, prendono il via una serie di eventi endocrino-immunologici che predispongono all’accumulo del grasso viscerale. Questi fenomeni sono generalmente accompagnati dalle alterazioni morfo-funzionali e metaboliche tipiche dell’obesità malata.

Il paziente con obesità metabolicamente sano, invece, tende ad avere più grasso sottocutaneo e almeno inizialmente, le alterazioni metaboliche tipiche del primo fenotipo non sono presenti o, se presenti, non sono significative.

La distinzione tra i due fenotipi di obesità non è netta. Infatti, non è raro identificare pazienti con un fenotipo metabolico intermedio, a conferma del fatto che il fenotipo metabolicamente sano tende nel tempo a virare verso il fenotipo metabolicamente malato. Una curiosità: i pazienti con obesità metabolicamente sani sono in certi casi meno sensibili alla perdita di peso.

Le complicanze dell’obesità

Il paziente affetto da obesità può presentare una serie di alterazioni biochimiche, emodinamiche e morfo-funzionali a carico di diversi organi ed apparati. Molte di queste alterazioni possono confluire nella condizione nota come sindrome metabolica (SM). La sindrome metabolica viene comunemente definita dalla presenza di almeno tre delle seguenti alterazioni:

obesità addominale,

aumento della trigliceridemia,

riduzione della colesterolemia HDL,

aumento della glicemia a digiuno,

aumento della pressione arteriosa sistemica.

La sindrome metabolica piena, cioè caratterizzata dalla presenza di tutte le alterazioni descritte nell’elenco, è un potente predittore di eventi cardiovascolari (CV). In realtà, il rischio cardiovascolare inizia ad alzarsi anche con un solo componente della SM. In particolare, l’obesità senza sindrome metabolica è essa stessa un fattore di rischio indipendente, predittore di eventi CV e di mortalità per tutte le cause. Anche solo un aumento del grasso corporeo contribuisce, infatti, indirettamente alla genesi delle malattie CV incrementando il rischio di diabete mellito di tiposecondo , di ipertensione e di dislipidemia. L’obesità, quindi, non è un sintomo da trattare, ma è la porta di accesso a numerose patologie.

Lo stigma clinico dell’obesità

Le cose accadano… per una serie di eventi non dipendenti dalla tua responsabilità, a partire dai primissimi istanti della tua esistenza, diverse variabili si sono combinate in modo tale che per te fosse estremamente facile ingrassare e al contrario difficile perdere peso.

Eppure ti senti in colpa… oppure ti fanno sentire in colpa.

Siamo di fronte a questo paradosso che potremmo racchiudere nell’espressione “stigma clinico dell’obesità“. Abbiamo detto che l’obesità è una malattia. Questo lo sa bene il medico che si occupa di malattie metaboliche. Spesso di fronte a medici di altre specialità (cardiologo, ortopedico, reumatologo, ginecologo… ) la persona affetta da obesità si sente giudicata o colpevole per la propria condizione. È capitato anche a te?

Così può succedere che il paziente affetto da obesità vada a visita dall’ortopedico. Lo specialista fa diagnosi, imposta la terapia di sua pertinenza ma non manca di aggiungere “… però lei deve dimagrire…”.

In questa affermazione è racchiuso lo stigma clinico. Bisognerebbe rispondere: “Io sono ammalato di obesità, non è una mia colpa. Sono venuto da lei per una complicanza dell’obesità che è la malattia primaria… lei in quanto medico mi deve curare per quello che compete la sua specialità e magari orientarmi verso un percorso specifico per gestire il mio problema di peso… altrimenti non sta agendo da medico.”

Che dite? Ce la impariamo a memoria questa frase?

Quanto mi piacerebbe assistere ad una scena del genere… perchè provo tanta rabbia…

Sono arrabiata perchè non è possibile che, alla luce del livello di conoscenze raggiunto nella comprensione di questa complessa patologia, ci siano ancora medici che agiscono così…

Invece scene come quella descritta non le ho viste mai. Solo una simpatica signora romana un giorno di tanti anni fa, mentre facevo l’internato in cardiologia, rispose al medico di turno … “con tutto il rispetto, voi medici dell’obesità non ci avete ancora capito niente…”

Quanti sono, invece, i racconti di atteggiamenti poco etici: il ginecologo che, in corso di ecografia, dice alla paziente “… sei troppo grassa… non riesco a vedere niente…” o il chirurgo vascolare che invita la signora a mangiare solo zucchine lesse… Potrei continuare all’infinito…

Vi invito ad ascolare il bellissimo Ted Talk di Peter Attia che ormai risale a oltre dieci anni fa… ma che, ahimè, è ancora drammaticamente attuale…

Dopo i 40 anni è normale avere un po’ di pancetta. Sarà vero?

Se da una parte il paziente affetto da una forma evidente di obesità si sente giudicato e colpevole della propria condizione, dall’altra parte le forme incipienti e meno manifeste vengono sottovalutate… un po’ di pancetta dopo i 40 anni è normale, si dice.

L’analisi retrospettiva dei dati dimostra che la diagnosi di obesità sfugge alla gran parte dei medici. Così ad esempio se è vero che il 25% dei pazienti che va a visita dall’ortopedico è affetto da obesità, è vero anche che la diagnosi viene posta solo nel 3% dei casi.

Dunque l’obesità viene intercettata come patologia quando raggiunge livelli molto gravi, e anche quando diagnosticata viene trattata adeguatamente in un numero ristretto di casi.

Non è una patologia isolata ma gravata nel tempo da una serie di complicanze che riguardano i vari organi e apparati. Dopo che si è instaurata una forma di obesità possono comparire malattie osteoarticolari, diabete, malattie cardiovascolari, malattie neurodegenerative, tumori. Ad un certo punto dovremo curare le complicanze dell’obesità quando abbiamo trascurato di curare la patologia primaria.

Ora ti pongo una domanda. Fare una diagnosi precoce, secondo te, può fare la differenza? Il paziente la cui forma di obesità viene riconosciuta precocemente ha più chance di guarire? La risposta è quella che ci suggerisce il buon senso: sì.

È importante allora agire in questo modo:

  • azzerare lo stigma clinico;
  • far rientrare nel protocollo ambulatoriale del medico di qualsiasi specialità la misura di peso, statura e circonferenze per distinguere tra sovrappeso e obesità;
  • istituire dei percorsi di cura sostenibili ed efficaci.

Clinical inertia is the tendency to maintain current treatment strategies despite results demanding escalation.

Questa è la definizione di inerzia terapeutica così come compare in un articolo scientifico dedicato alla cura dell’obesità: l’inerzia terapeutica è la tendenza a non cambiare la strategia di cura nonostante l’assenza dei risultati. Quali possono essere le spiegazioni di questo diffuso fenomeno? Per dare una risposta a questa domanda prima di tutto dovremmo chiederci quanto il medico che invita il proprio paziente a dimagrire creda realmente che questo possa accadere. Circola tra i più, medici e non medici, un convincimento: una persona obesa rimarrà per sempre tale e se alcuni dimagriscono poi inevitabilmente tornano ad ingrassare.

Cos’è per me il massimo esempio di inerzia teraputica nei casi di obesità? La dicitura “il paziente deve attenersi ad una dieta ipocalorica, ipolipidica e iposodica” che puntualmente compare tra le indicazioni terapeutiche dello specialista di turno. Non c’è nessun’altra patologia cronica per la quale vengano date indicazioni così generiche.

Servirebbero al contrario indicazioni più precise per i pazienti, servirebbe un percorso di educazione alimentare, una maggiore conoscenza della propria patologia.

In quale altra patologia cronica i pazienti vengono abbandonati a sè stessi perchè non siamo in grado di curarli oppure vengono trascurati a causa dell’alto tasso di recidiva? È quello che accade con l’obesità. Rara in qualsiasi patologia è un’aderenza del 100% alle terapie. Per questo è opportuno mettere a punto delle strategie sostenibili. Già la perdita del 5-10% del peso iniziale porta ad un significativo milglioramento della condizione clinica generale (prevenzione del diabete mellito di tipo secondo, miglioramento della steatosi epatica, riduzione di colesterolo e trigliceridi, scomparsa del reflusso gastro-esofageo, migliorameto della gonalgia da osteoartrite).

Linee guida europee per il trattamento dell’obesità

Secondo le linee guida europee, la gestione del paziente affetto da obesità prevede 5 fasi:

  1. Iniziare il rapporto di fiducia tra medico e paziente, con il permesso da parte del paziente di ricevere consigli sul peso e di trattare la patologia.
  2. Valutare il paziente e classificare il grado di obesità, identificando anche le cause alla radice, le complicazioni e gli ostacoli al trattamento.
  3. Discutere con il paziente delle opzioni di trattamento: terapia nutrizionale, attività fisica e eventuali terapie aggiuntive (farmaci, sostegno psicologico, chirurgia bariatrica).
  4. Condividere gli obiettivi della terapia.
  5. Eseguire visite di controllo con una frequenza prestabilita, per aiutarlo nell’affrontare i driver dell’aumento del peso e le barriere di questa patologia cronica.

Conclusioni

La gestione del paziente con obesità è una vera sfida. Gli studi dimostrano che una delle principali difficoltà dei pazienti affetti da obesità è quella di controllare l’alimentazione. La fame sperimentata in caso di obesità non è la stessa di una persona magra. È ormai opinione comune e consolidata che, per far fronte all’epidemia obesità, è necessario ricorrere ad un approccio multidimensionale caratterizzato da varie terapie (nutrizionale, cognitivo-comportamentale, farmacologica e chirurgica). Il modo in cui queste terapie si combinano sarà diverso per ciascun paziente.

 

Frühbeck G, Toplak H, Woodward E, Halford JC, Yumuk V; European Association for the Study of Obesity. Need for a paradigm shift in adult overweight and obesity management – an EASO position statement on a pressing public health, clinical and scientific challenge in Europe. Obes Facts. 2014;7(6):408-16.

 

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