Nessun intestino è un’isola
“Nessun intestino è un’isola”… questa frase rende l’idea di quanto l’intestino sia importante per la salute dell’intero organismo. Il nostro intestino non è un’isola perché è abitato da una moltitudine di microrganismi e perché è delimitato da una mucosa permeabile.
Esistono prove sperimentali della capacità del microbiota intestinale di condizionare la fisiologia e la patologia sistemica attraverso la diffusione dei cataboliti microbici. L’espressione che viene usata nella letteratura scientifica per descrivere questo fenomeno è metastasis of gut microbiota. In altri termini le molecole prodotte dai batteri intestinali oppure i frammenti derivanti delle loro membrane cellulari possono diffondere al resto del corpo.
La barriera intestinale
La barriera intestinale è formata dalle cellule epiteliali, dalle proteine antimicrobiche e dalle cellule immunitarie. Le Globet Cells o cellule caliciformi mucipare intestinali sono deputate alla produzione di muco e giocano un ruolo importante nell’arginare la penetrazione di antigeni luminali fino a livello delle stazioni linfonodali presenti nella sottomucosa.
Le cellule di Paneth, anch’esse localizzate a livello intestinale, secernono un fluido viscoso contenente lisozima, mucina (Muc2) e peptidi antimicrobici. Le α-defensine assieme alle IgA secretorie, ai neutrofili e alle cellule linfoidi dell’Immunità Innata rappresentano una potente barriera contro gli agenti patogeni.
Gli acidi grassi a catena corta (Short Chain Fatty Acids, SCFAs) esercitano un importante effetto immunomodulatorio. Queste molecole sono coinvolte nella chemiotassi (fenomeno attraverso il quale i fagociti e i linfociti B e T raggiungono il sito di infezione) e nella differenziazione, nella proliferazione e nell’apoptosi delle cellule dell’immunità innata e adattativa. Riescono a farlo perché prendono parte a molteplici pathways cellulari: l’inibizione dell’istone deacetilasi (Histone Deacetylases, HDAC), l’attivazione dei recettori di membrana associati a proteine G (G Protein Coupled Receptors, GPCR) e la stabilizzazione del fattore inducibile dall’ipossia (Hypoxia-Inducible Factor, HIF).
Gli SCFAs inibiscono la secrezione delle citochine pro-infiammatorie (TNF-α, IL-6, IL-17, IFN-γ), delle chemiochine e delle citochine indotte dal lipopolisaccaride (LPS) e modulano il ratio tra batteri probiotici e potenziali patogeni inibendo l’overgrowth di questi ultimi.
Quando la barriera intestinale è danneggiata…
Nel caso in cui la barriera intestinale risulti alterata, come succede nella Leaky Gut Syndrome, i batteri intestinali così come i loro metaboliti possono entrare in contatto con i vasi della sottomucosa e diffondere nei vari distretti corporei. Da qui parte uno dei più importanti trigger nella genesi dell’infiammazione sistemica di basso grado (Low-grade Systemic Inflammation).
La stessa obesità è caratterizzata da un’infiammazione sistemica di basso grado associata ad un cluster piuttosto ampio di alterazioni metaboliche quali i disordini dell’omeostasi glucidica (intolleranza al glucosio, insulino-resistenza e diabete di tipo 2), le malattie cardiovascolari (ipertensione, dislipidemia, disordini della fibrinolisi) e l’epatosteatosi (Nonalcoholic Fatty Liver Disease, NAFLD). Per quanto la patogenesi dell’obesità sia in parte genetica l’impatto dei fattori ambientali non deve essere trascurato. In questo senso il microbiota intestinale gioca un ruolo chiave. Rappresenta, come dicono gli esperti, un key exteriorized organ. Poiché i microbi che vivono nel nostro intestino interferiscono con il metabolismo energetico gli scienziati parlano di una driving force in the pathogenesis of obesity.
Probiotici nel trattamento dell’obesità?
Una volta posta diagnosi di disbiosi sulla base della clinica e dell’esito del test del microbiota fecale colonico, partendo dall’assunto che questa disbiosi possa avere qualcosa a che fare con una concomitante condizione di sovrappeso/obesità, si pone la necessità di mettere in atto una serie di strategie terapeutiche. Senza ombra di dubbio la dieta rappresenta il principale fattore in grado di modulare l’assetto del microbiota intestinale. Tra le altre strategie ci sono anche i probiotici. In accordo con le linee guida del Ministero della Salute i probiotici si definiscono come “microrganismi vivi e vitali che conferiscono benefici alla salute dell’ospite quando consumati in adeguate quantità come parte di un alimento o di un integratore”. L’aggettivo vitale sta a significare che i batteri devono essere in grado di restare vivi e di proliferare anche dopo l’assunzione da parte del consumatore. La definizione parla di quantità adeguate. La ricerca scientifica ha infatti ampiamente dimostrato che il probiotico è capace di determinare un vantaggio terapeutico solo se somministrato ad un dosaggio corretto. Si ritiene che un singolo ceppo non possa essere somministrato ad un dosaggio inferiore ad un miliardo di individui batterici vivi e vitali al giorno se si vuole ottenere un vantaggio terapeutico. Esiste un’altra definizione che riguarda direttamente l’alimento o l’integratore che contiene il probiotico. Secondo questa definizione i probiotici si definiscono tali se “contengono in numero sufficientemente elevato microrganismi probiotici in grado di raggiungere l’intestino, di moltiplicarsi e di esercitare un’azione benefica per lo stato di salute/benessere dell’uomo”. In questa definizione si parla chiaramente dell’intestino come organo target. I benefici che si riscontrano a livello sistemico sono quindi secondari all’azione che i probiotici possono esercitare sulla funzionalità intestinale.
I microrganismi che vengono impiegati per formulare un probiotico sono diversi e tra questi molti lattobacilli (Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus casei, Lactobacillus delbrueckii subsp. Bulgaricus; Lactobacillus delbruekii sbsp. Lactis, Lactobacillus helveticus, Lactobacillus kefiri, Lactobacillus paracasei, Lactobacillus plantarum, Lactobacillus reuterii, Lactobacillus rhamnosus, Lactobacillus salivarius); alcuni bifidobatteri (Bifidobacterium bifidum, Bifidobacterium longum, Bifidobacterium brevis, Bifidobacterium infantis), il Saccharomyces boulardii; lo Streptococcus thermophilus; il Lactococcus lactis; il Propionobacterium freudenreichi subsp. shermanii e alcuni enterococchi (solo se di comprovata sicurezza).
La manipolazione della composizione del microbiota intestinale è una possibilità nel trattamento dei disordini metabolici anche se il meccanismo di azione non è stato ancora sufficientemente chiarito.
Una possibile spiegazione è legata all’incremento di Bifidobacterium spp. e alla produzione di SCFAs, che a loro volta sarebbero in grado di modulare l’appetito e l’omeostasi energetica. I generi Bifidobacterium e Lactobacillus riescono a sintetizzare acido linoleico coniugato (Conjugated Linoleic Acid, CLA). Questa molecola aumenta la lipolisi esercitando così un effetto sul controllo del peso corporeo.
Tra gli eventi legati all’assunzione di probiotici vi è la riduzione dei livelli plasmatici di LPS e il contemporaneo miglioramento dei parametri metabolici (riduzione dei livelli del colesterolo totale, del colesterolo LDL e dei trigliceridi e aumento del colesterolo HDL).
I probiotici hanno la capacità di accrescere la popolazione di Faecalibacterium prausnitzii, un importante butirrato-produttore appartenente al Phylum Firmicutes. È ampiamente dimostrato che Faecalibacterium prausnitzii possiede proprietà anti-infiammatorie. Ne è prova il fatto che nelle persone con diabete la riduzione di Faecalibacterium prausnitzii è associata all’aumento delle molecole coinvolte nell’infiammazione.
I probiotici, se assunti in quantità adeguate e per periodi superiori ai tre mesi, riescono a limitare la crescita dei batteri potenzialmente patogeni (patobionti) attraverso meccanismi legati alla competizione per i substrati energetici e alla produzione di batteriocine (fenomeno di negative co-occurrence). Il contenimento dei patobionti porta ad una ridotta produzione di cataboliti ad azione pro-infiammatoria (vedi LPS, indolo e trimetilammina). Tra i batteri buoni ci sono quelli capaci di mantenere l’integrità della barriera intestinale che al contrario risulta compromessa quando prevalgono i batteri patogeni. Il miglioramento delle funzioni di barriera contrasta l’endotossiemia (ovvero l’abnorme presenza in circolo di LPS) che è a sua volta associata all’obesità.
Sembra che i probiotici siano in grado di ridurre le dimensioni degli adipociti contrastando l’assorbimento degli acidi grassi e favorendo al contrario l’espressione di geni responsabili della loro ossidazione. Ad esempio Lactobacillus rhamnosus GG (LGG) inibisce la deposizione di grasso a livello epatico attraverso la fosforilazione dell’AMPK.
Bifidobacterium breve B-3 aumenta l’espressione di ANGPTL4 (Angiopoietin-related protein 4) a livello intestinale. Questa molecola riesce a contrastare la deposizione del grasso corporeo attraverso l’inibizione della lipoproteinlipasi (LPL) mentre promuove la degradazione degli acidi grassi sia a livello del muscolo scheletrico che del tessuto adiposo.
In conclusione, gli studi condotti fin qui sono a sostegno delle proprietà anti-obesigene dei probiotici anche se molto rimane ancora da chiarire.
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