Cos’è la carbossiterapia?
Per carbossiterapia si intende la somministrazione di anidride carbonica (CO2) a scopo terapeutico. Questo trattamento ha avuto origine nel 1983 in Francia presso il centro termale di Royat. I pazienti affetti da arteriopatie periferiche venivano trattati con questa modalità.
Il termine “carbossiterapia” venne utilizzato per la prima volta da Luigi Parassoni nel 1995 in occasione del sedicesimo convegno nazionale della Società Italiana di Medicina Estetica (SIME).
La CO2 può essere somministrata per via percutanea o transcutanea oppure per mezzo di iniezioni sottocutanee. In medicina termale la CO2 viene utilizzata per il trattamento di patologie vascolari e somministrata per mezzo di bagni gassosi, bagni in acqua carbonica e docce percutanee.
La carbossiterapia è una metodica nelle mani del medico. Si tratta di una terapia ambulatoriale che prevede una serie di punture sottocutanee di CO2.
L’apparecchiatura per la carbossiterapia è elettronica, programmabile e permette di erogare precisi volumi di CO2. L’apparecchio, dunque, regola i volumi e la velocità di perfusione. Il sistema è provvisto di un tubicino che presenta al termine un ago della lunghezza di 13 mm e dello spessore di 30 G.
Lo scopo della carbossiterapia è quello di migliorare o ripristinare la funzione circolatoria quando questa è danneggiata. In altri termini si tratta di una terapia riabilitativa della microcircolazione.
La CO2 così somministrata è attiva non solo a livello del microcircolo sottocutaneo (target terapeutico in caso di cellulite) ma è di supporto anche nel trattamento delle patologie arteriose.
Gli effetti terapeutici della carbossiterapia
Gli effetti della CO2 sono dovuti:
- all’aumento dei fattori locali che sostengono la circolazione;
- all’aumento della perfusione tissutale;
- all’aumento del flusso di sangue capillare.
È stato dimostrato che la CO2 induce anche la formazione di nuovi vasi capillari (angiogenesi) e la ricanalizzazione di capillari virtuali per effetto dell’aumentata velocità del flusso locale e dell’aumentato volume ematico.
Studi clinici hanno dimostrato che la carbossiterapia ha anche un effetto lipolitico. La sua applicazione secondo specifici protocolli porta ad una significativa riduzione delle irregolarità cutanee causate dall’accumulo del grasso.
Uno dei fenomeni conseguenti l’infusione di CO2 nell’ipoderma è la rottura delle membrane degli adipociti (effetto lipoclastico) con rilascio dei trigliceridi nello spazio intercellulare. Da qui i trigliceridi vengono captati dal sistema linfatico e riportati in circolo. Nell’ambito di un trattamento dietoterapico finalizzato alla perdita del peso corporeo, l’utilizzo della carbossiterapia può consentire un dimagrimento localizzato alle aree di maggiore interesse. Prendiamo, ad esempio, il caso di una ragazza dalla tipica struttura ginoide. In questo caso la circonferenza dei fianchi può sorpassare quella delle spalle di oltre 20 centimetri. Può darsi il caso che la ragazza in questione abbia un BMI (indice di massa corporea) di poco superiore a 25 com’è nella condizione di sovrappeso. Si impone una dieta modicamente ipocalorica e un’attività fisica adeguata. La carbossiterapia può rappresentare un valido aiuto nel rendere possibile la perdita elettiva (se non esclusiva) del grasso localizzato su fianchi e cosce.
Carbossiterapia: in quali casi è indicata
Per gli effetti sulla microcircolazione la carbossiteapia può essere usata per trattate:
- l’insufficienza venosa cronica;
- l’insufficienza veno-linfatica cronica;
- le ulcere venose.
Altre indicazioni sono:
- l’adiposità localizzata,
- la cellulite (panniculopatia-edemato-fibro-sclerotica o PESF);
- al psoriasi;
- le patologie vascolari arteriose (Morbo di Buerger, ulcere diabetiche, acrocianosi, ulcere aterosclerotiche);
- le alterazioni estetiche del corpo (lassità cutanea, invecchiamento cutaneo);
- le reumartopatie (acute e croniche).
Carbossiterapia: in quali casi è controindicata
La carbossiterapia è controindicata in caso di:
- insufficienza respiratoria grave;
- insufficienza renale grave;
- insufficienza cardiaca grave;
- terapia con acetozolamide, diclofenac o altri inibitori dell’anidrasi carbonica;
- anemia grave;
- insufficienza epatica grave;
- pregresso ictus cerebrale;
- tachiaritmie cardiache;
- trombosi arteriose;
- tromboflebiti;
- flebotrombosi;
- embolie;
- grangrena gassosa;
Conclusioni
La carbossiterapia non è una terapia pericolosa. Non è tossica. Non provoca embolia. Le apparecchiature usate erogano CO2 medicale con un controllo elettronico sulla purezza, sulla quantità e sulla velocità di flusso. Alcuni degli apparecchi di ultima generazione riscaldano il gas e questo pare avere un effetto positivo sulla percezione del dolore.
Il dolore avvertito dalle pazienti sottoposte a trattamento è comunque scarso. Tra gli effetti collaterali vanno senza dubbio segnalate le ecchimosi la cui comparsa post-trattamento è legata in parte alla manualità dell’operatore in parte alla predisposizione da parte della persona trattata. Durante l’infusione di CO2 si avverte un crepitio locale e la sensazione di bruciore.
La cellulite (in ambito medico pannicoplopatia-edemato-fibro-sclerotica o PESF) è una condizione associata ad un deficit del microcircolo. Migliorare la microcircolazione può giocare un ruolo importante nel trattamento terapeutico di questa condizione che va inquadrata come una vera e propria patologia e non solo come un problema di natura estetica.
La carbossiterapia può essere eseguita nell’ambulatorio medico. Il gas dosato da un apparecchio centrale e purificato da una serie di filtri arriva in un diffusore che termina con un ago da 30 G della lunghezza di 13 mm.
La quantità di gas erogata per singola seduta va da alcuni ml a 1000 ml (500 per ciascun lato). Si consiglia di adottare all’inizio un flusso basso (10-20 ml/minuto) per poi passare (dopo 2-5 minuti) a 70/100 ml/minuto. Il basso flusso all’inizio riduce la sensazione di pizzicore e di dolore. Con gradualità la paziente potrà adattarsi a flussi più alti.
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