La sindrome plurimetabolica appare come la punta di un iceberg nella cui parte sommersa occupano uno spazio prevalente l’obesità viscerale e l’insulino-resistenza. Questa condizione sindromica porta con sé, in una complessa rete di relazioni di causa-effetto, la dislipidemia, l’ipertensione, l’iperuricemia con conseguente gotta e il fegato grasso che può andare incontro ad un importante processo infiammatorio con fibrosi e sclerosi come nella cirrosi su base alcolica.
Nel tempo la sindrome plurimetabolica porta al diabete, alla comparsa delle malattie cardiovascolari e, ahimè, di quelle tumorali.
Il minimo comune denominatore tra tutte queste condizioni è l’infiammazione sistemica di basso grado. Nel tessuto adiposo infiammato il 40% dei macrofagi sono di tipo M1. Al contrario degli M2, i macrofagi M1 producono citochine pro-infiammatorie. Questo comporta la ridotta produzione di resolvine, di adiponectina e di IL-10 (citochina anti-infiammatoria per eccellenza). Aumentano invece IL-1, IL-6, TNF-alfa, PCR e metalloproteinasi.
In condizioni fisiologiche la cellula adiposa ha il ruolo di conservare l’energia in eccesso sotto forma di trigliceridi. Produce inoltre delle adipochine quali leptina e adiponectina in grado di regolare il senso di fame e di sazietà. L’espansione delle riserve di grasso sotto l’influsso di una dieta ipercalorica e dell’inattività fisica porta ad una produzione patologica di fattori pro-infiammatorie a al rilascio di sostanze pro-ossidanti.
Dieta e attività fisica sono dunque le principali strategie volte a contrastare l’instaurarsi di una sindrome plurimetabolica. La dieta, oltre ad essere adeguata in termini di apporto calorico, di rapporto tra macronutrienti (proteine, carboidrati e grassi) deve anche fornire le giuste quantità di micronutrienti.
Tra le sostanze in grado di modulare lo stress ossidativo e l’infiammazione vanno citati i metaboliti secondari quali le epigallocatenine gallato del the verde, la quercitina della frutta, l’allicina dell’aglio, il resveratrolo dell’uva e la curcumina.
Curcumina come protagonista assoluta nella scena dell’infiammazione metabolica
Nella polvere ottenuta dal rizoma di Curcuma longa sono contenuti diversi principi attivi: la curcumina, la dimetossi-curcumina, e la bisdimetossi-curcumina. Nella medicina ayurvedica la curcumina viene considerata il nutraceutico d’oro, the golden nutraceutical, perché agendo sul meccanismo dell’infiammazione cronica è in grado di contrastare diverse condizioni patologiche. Integratori a base di curcumina vengono comunemente usati in analgesia, in caso di insulino-resistenza ed epatosteatosi, ed in oncologia come chemiosensibilizzanti.
In ambito metabolico la curcumina migliora la sensibilità all’insulina, riduce la perossidazione lipidica, riduce lo stress ossidativo (con l’assunzione della curcumina si riducono i livelli di isoprostano e malonidialdeide, due indicatori di stress ossidativo), aumenta la biogenesi mitocondriale a seguito del processo di autofagia (rottamazione dei mitocondri malandati e genesi di nuovi mitocondri più efficienti), aumenta la sensibilità all’insulina sia a livello del tessuto adiposo che del muscolo scheletrico con riduzione dei livelli ematici di glucosio e di lipidi.
Gli effetti della curcumina sull’intestino
A livello intestinale la curcumina promuove il mantenimento di una barriera intestinale ottimale con buona tenuta delle giunzioni serrate (tight junctions). Una permeabilità intestinale patologica porta alla diffusione di sostanze infiammatorie dal lume intestinale al fegato e poi a tutto l’organismo. Un importante effetto infiammatorio è attribuito all’LPS o lipopolisaccaride, frammento della membrana dei batteri gram negativi. Questa molecola allerta il Sistema Immunitario con conseguente rilascio di citochine pro-infiammatorie. Il fenomeno è noto come infiammazione LPS-mediata.
La curcumina non solo è in grado di preservare l’integrità della barriera intestinale rafforzando le giunzioni serrate ma riesce anche a modulare la composizione del consorzio microbico dando man forte ai bifidobatteri a ai lattobacilli, noti come probiotici o batteri buoni (azione prebiotica).
In diversi modelli sperimentali è stato dimostrato che l’assunzione di curcumina contrasta il rilascio di LPS come dimostrato per mezzo dei dosaggi ematici.
Obesità viscerale e cortisolo
L’obesità viscerale assomiglia fenotipicamente alla sindrome di Cushing, condizione patologica caratterizzata dall’aumentato rilascio di cortisolo ad opera della corticale del surrene. Stante la similitudine fenotipica si può pensare che anche l’obesità viscerale abbia a che fare con un eccesso di glucocorticoidi endogeni. C’è una forte correlazione tra cortisolo e insulino-resistenza.
L’enzima 11-beta-idrossisteroide deidrogenasi 1 converte il cortisone, biologicamente inattivo, in cortisolo . La disregolazione tessuto-specifica di questo enzima può avere un ruolo importante della determinazione dell’insulino-resistenza. È come avere una sindrome di Cushing distrettuale nella quale l’abbondanza di glucocorticoidi endogeni non dipende da una sovrapproduzione surrenale ma ha a che fare con la conversione del cortisone in cortisolo. La curcumina è un potente inibitore di questo enzima e quindi contribuisce a mantenere i livelli di cortisolo nel range di normalità.
Gli integratori a base di curcumina e il concetto di biodisponibilità
Negli integratori la curcumina viene abbinata con la piperina per aumentarne la biodisponibilità. La piperina infatti inibisce la glucoronidasi epatica che aumenta l’escrezione biliare della curcumina e ne limita la biodisponibilità. Altra strategia è quella del fitosoma. I fitosomi sono delle strutture in cui il principio attivo è ancorato alla testa polare del fosfolipide e diventa parte integrante della membrana micellare. In questo modo la biodisponibilità aumenta di 30 volte.
Ci sono poi gli enhancer farmacodinamici, sostanze in grado di potenziare l’azione della curcumina. Sono la berberina, la silimarina, le catechine del the verde, l’acido lipoico, la fosfatidilserina, il coenzima Q10 e il resveratrolo.
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