L’obesità è un problema di proporzioni mondiali ma la conoscenza dei meccanismi che la determinano è ancora scarsa. Molto c’è da fare a livello di ricerca di base. Poi bisogna colmare il gap che separa il mondo della ricerca dalla pratica clinica. Se l’obesità è una malattia allora sarà necessario che tutti i MEDICI siano in grado di fornire i consigli giusti, di inquadrare correttamente il paziente e di indirizzarlo verso un percorso terapeutico personalizzato. Tutto questo sembra scontato ma il più delle volte le soluzioni proposte sono parziali, sono sbagliate, sono irrealistiche e pertanto irrealizzabili. Il paziente persiste nel suo stato di obesità un po’ per sua responsabilità e un po’ per responsabilità dei terapeuti che incontra.
Di obesità e di nutrizione parlano tutti, il più delle volte a sproposito. E i pazienti, alla ricerca di soluzioni, sono disposti a dar credito al supposto esperto di turno.
Il grande inquisitore, nei Fratelli Karamazov, proclamava che gli uomini hanno sempre voluto “magia, mistero e autorità”. I guaritori lo sapevano e questo è il motivo per cui le loro pratiche terapeutiche sono state velate, in ogni periodo storico, da un manto di segretezza. I medici occidentali hanno da sempre usato le loro strategie per ispirare soggezione e per massimizzare l’effetto placebo: il camice bianco, i muri coperti di diplomi prestigiosi e di foto con personaggi famosi, le ricette che quando hanno smesso di essere scritte in latino sono state tracciate in una specie di proto-scrittura comprensibile solo ai farmacisti. C’è magia a sufficienza in tutto questo? Voi che dite?
Se di fronte ad una patologia di quelle a rischio di morte imminente si lascia parlare solo il MEDICO esperto, di obesità sembrano voler e poter parlare tutti. L’obeso è visto come una persona priva di forza di volontà, un epicureo a cui piace la buona tavola, un indolente che quando fa due passi si sente già stanco. Questo è il ritratto che del paziente obeso si fa chiunque, e “chiunque” purtroppo include anche i medici. Chi può negare che esista una stigmatizzazione dell’obesità anche in ambito sanitario?
A complicare le cose c’è anche il retaggio culturale dell’epoca post-bellica quando si pensava che grasso è bello ed è anche segno di salute. Così tra la stigmatizzazione da una parte e il retaggio culturale dall’altra è andata a finire che della persona con obesità si può occupare chiunque. Il medico del resto, nella sua ricerca di super-specializzazione, avendo perso da tempo la visione di insieme della persona che ha davanti (si è esperti di organi e di malattie, anzi di quell’organo e di quella malattia), di obesità si occupa a malincuore. Rifletteteci un po’? Cosa ha scritto il cardiologo da cui siete andati a visita recentemente sulla sua prescrizione? Ve lo dico io: ha scritto “si consiglia dieta ipocalorica ed iposodica”. Dunque? Questo vi ha aiutato? E se non è stato il cardiologo è stato l’ortopedico, se non è stato l’ortopedico è stato il gastroenterologo, se non è stato il gastroenterologo è stato il neurologo, e così via dicendo… ‘ché la lista è lunga.
Con questa prescrizione (così criptica di fronte ad un problema così complesso) da chi andiamo? Nella migliore delle ipotesi dal biologo nutrizionista.
Ma l’obesità non era una malattia? E il biologo con il medico ci parla, dico con quello che ha fatto la prescrizione per esempio. Il più delle volte no. Perché? Perché il medico se ne è lavate le mani quando ha scritto la sua formula (dieta ipocalorica ed iposodica) sulla prescrizione. Il resto è affidato al caso.
Come fa il paziente a scegliere il professionista più qualificato oggi come oggi? Poiché il percorso di cura è affidato al caso… caso vuole che oggi siamo nell’epoca dei social ed il più qualificato equivale per un bias cognitivo al più influente. Ora posto che si può essere influenti sui social e allo stesso tempo assolutamente qualificati e pure vero che questa non è una garanzia assoluta. E non lo è soprattutto se non si fa un lavoro di squadra. Perché, se l’obesità è una patologia complessa che coinvolge mente e corpo, per trattare l’obesità ci vuole il medico (internista, endocrinologo, gastroenterologo, psichiatra), ci vuole lo psicologo psicoterapeuta, ci vuole il nutrizionista e il laureato in scienze motorie. Ci vogliono tutte queste competenze assieme. Bisogna che tutte queste persone parlino tra di loro del loro comune paziente.
Non vi venga in mente che una persona sola può fare tutto questo e dubitate di quelli che, complici i social, si qualificano come tuttologi (basta aggiungere la parola coach a tutti i campi dello scibile umano ed il gioco è fatto)… perché il medico, solo lui, ha dovuto studiare più di dieci anni, stessa cosa lo psicologo, il biologo nutrizionista 5 e così pure il laureato in scienze motorie. Che poi bastasse la laurea! È l’esperienza sul campo che fa la differenza, il procedere per tentativi ed errori. Più si sbaglia e più si diventa bravi.
Capite ora perché non siete gli unici responsabili di come vanno le cose con la bilancia?
In ambito nutrizionale va di moda cospargere manti di segretezza ovunque. Io lo chiamo “effetto formula magica”. La genesi di questa suggestione è più o meno la seguente: c’è in giro qualcuno più intelligente della media delle persone intelligenti (praticamente un genio) che nello studiare la biochimica e la fisiologia ha scoperto (solo lui) quel meccanismo sconosciuto ai più e sulla base di quel meccanismo ha messo a punto la sua personalissima strategia nutrizionale. Altro che formula magica!
Dubitate SEMPRE di chi dice di saperne più di tutti gli altri messi assieme. È questo lo slogan più usato per vendere… vendere la dieta, il libro sulla dieta, gli integratori per la dieta, gli eventi su libro + dieta + integratori…
Un po’ per sensibilità e un po’ per formazione io sono del parere che bisogna passare un bel colpo di spugna su stigmatizzazioni, retaggi culturali, bias cognitivi e formule magiche. Bisogna trovare l’antidoto alla dis-umanizzazione della medicina e del rapporto terapeutico, bisogna mettersi tutti d’accordo sul fatto che l’obesità è una malattia complessa, riconoscendo che esistono tante forme di obesità (ognuna composta da una combinazione varia di cause ed effetti).
Dopo questa piccola rivoluzione culturale bisogna pensare che il paziente viene da noi non perché siamo magri, belli, influenti. Non perché c’è qualcosa che sappiamo solo noi. Il paziente “si affida” perché siamo preparati, siamo aggiornati, siamo inseriti in una rete, perché collaboriamo con gli altri attori del percorso terapeutico, perché non ci sentiamo tuttologi e non ci spacciamo per tali.
Infine il paziente si affida a noi perché siamo umani. La mia umanità salta sempre fuori al momento dell’auto-svelamento. Quando ero molto giovane, negli anni in cui studiavo Scienze Agrarie a Viterbo, ho sofferto di una grave forma di sovrappeso… prossima all’obesità. Ai pazienti racconto delle mie difficoltà di allora, di quanto sia stato importante lo sport (in particolare la corsa), di quanto sia stato edificante il percorso che mi ha riportato sul mio peso forma. L’auto-svelamento è il momento in cui io parlo al paziente dell’universalità del loro problema: non sei solo a vivere questa condizione dovendoti sentire giudicato, incapace, impotente. Auto-svelamento, trasparenza ed universalità vanno ben oltre le formule magiche da quattro soldi.
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