Siamo entrati da un pezzo nel terzo millennio. Scienza e tecnologia hanno fatto passi da gigante. Eppure tante cose rimangono ancora da chiarire.
Trilioni di cellule microbiche popolano il nostro organismo (è un fatto che credo faccia rabbrividire i maniaci del pulito). Li raggruppiamo tutti sotto il nome di microbiota. Mentre parliamo di microbioma quando vogliamo intendere l’insieme dei geni di tutti i microrganismi che abitano in noi. Conoscere questo microscopico mondo nella sua complessità ci aiuterà a ridefinire il concetto stesso di salute e di malattia.
Come tante altre scoperte in campo scientifico, anche quella del microbiota umano ha contribuito a minare il nostro egocentrismo. Con Copernico abbiamo preso atto che il nostro pianeta non era al centro dell’Universo. Con Darwin ci è stato detto che l’uomo non è che un animale tra i tanti. E adesso ci si mette pure il microbioma a farci intendere che la nostra identità è fatta per la gran parte da piccoli organismi unicellulari.
Scrive Michael D. Gershon nella prefazione del suo bellissimo libro “Il secondo cervello”: Poiché ci consideriamo speciali, qualsiasi cosa limiti la centralità della condizione umana è inevitabilmente guardata con sospetto, se non con vera e propria ostilità.
Il Progetto Genoma Umano, il cui scopo era quello di sequenziare l’intero DNA della nostra specie e di mappare i geni che compongono il nostro genoma, è stato portato a termine oramai 15 anni fa. Si pensava che conoscendo a fondo la nostra genetica avremmo potuto trovare la cura per molte malattie. Ma le nostre aspettative sono state deluse. Tanto per cominciare si pensava che la specie umana possedesse centinaia di migliaia di geni. Ne sono stati trovati invece circa 30.000! Una pianta ne possiede 28.000, un verme 18.000. Per alcuni questa differenza non è sufficiente a spiegare la complessità dell’organismo umano rispetto a forme di vita più semplici.
E non è finita qui! Il nostro DNA è per il 99,99% identico a quello di qualsiasi altro essere umano per quanto differente possa esserne l’aspetto. Mentre siamo accumunati da una così profonda similitudine genetica ci dimostriamo molto più avari nel condividere i nostri microbi! Così ad esempio il nostro microbiota intestinale somiglia a quello di altri individui della nostra specie solo per il 10%!
È un’osservazione che diventa ancora più sbalorditiva se pensiamo ai nostri 30.000 geni codificanti proteine a fronte dei 2-20 milioni di geni provenienti dal nostro microbiota (Per inciso ciascuno di noi è fatto da circa 3 trilioni di cellule mentre i nostri microbi sono un centinaio di trilioni. Loro sono in vantaggio di 97 trilioni)!!! In altri termini, geneticamente parlando, siamo “umani” solo per l’1%, per il 99% siamo “microbici”!
Potremmo forse concludere che alla base della nostra diversità non ci sono i geni ma i batteri?!
E allora la domanda è: quanta responsabilità hanno i nostri batteri nel fatto che ad un certo punto diventiamo insulino-resistenti e poi diabetici, oppure allergici, dislipidemici, ipertesi, obesi, depressi?
Non nasciamo nudi
Ognuno di noi ha ereditato i suoi batteri dalla propria mamma durante il passaggio attraverso il canale del parto. Dunque non nasciamo nudi ed indifesi ma ricoperti di uno strato di microbi che poi sono gli stessi dell’ambiente vaginale materno. È la nostra prima difesa contro le aggressioni provenienti dall’esterno!
Si tratta di una vera e propria simbiosi mutualistica venutasi a costituire milioni di anni fa. Il mutualismo in biologia è la coesistenza di specie differenti con vantaggio reciproco per gli individui associati. Quindi i nostri microbi hanno “scelto” di “abitare in noi” perché ci stanno bene: il giusto pH, la giusta temperatura e umidità, il cibo migliore!
Ma anche noi abbiamo il nostro tornaconto ad ospitarli!
Sembrerebbe ad esempio che in corso di gestazione il microbiota materno si modifichi sapientemente in modo da far prevalere alcune specie a discapito di altre. Così i batteri del genere Lactobacillus, diventando più abbondanti, consentirebbero alla mamma di estrarre maggior energia dal cibo allo scopo di garantire la miglior crescita del feto.
Ma se tutto ciò è vero che cosa succede a quei bimbi che nascono da un parto cesareo?
A differenza degli adulti che presentano diversi ecosistemi microbici, il microbiota dei neonati è molto più semplice. Quelli nati con un parto naturale hanno le stesse specie microbiche dell’ambiente vaginale, quelli nati da un parto cesareo hanno invece i microbi presenti normalmente sulla pelle. Si tratta di due comunità microbiche, quella vaginale e quella cutanea, profondamente differenti! Ed ecco che i nati con parto cesareo, probabilmente a causa di una anomala stimolazione del Sistema Immunitario, finiscono con il soffrire più spesso di asma, allergie alimentari ed altre atopie, e perfino di obesità!
Loro crescono con noi
Se quando nasciamo veniamo dotati di una flora microbica basale che è poi quella dell’ambiente vaginale materno, via via che cresciamo le cose sono destinate a cambiare profondamente!
Attraverso l’allattamento al seno non riceviamo soltanto un alimento nutriente e dotato del giusto rapporto tra grassi, proteine e zuccheri. Il latte della mamma contiene infatti anche una extra-dose di batteri buoni (probiotici) che provengono direttamente dal suo intestino e zuccheri che servono a promuoverne la crescita.
Il nostro microbiota evolve ulteriormente quando incominciamo a introdurre cibi solidi. È così che giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno “siamo sempre più ciò che mangiamo”.
Quando il filosofo Ludwig Feuerbach (1804-1872) scrisse “Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia” non aveva idea della nostra stretta convivenza con trilioni di microrganismi. Considerando l’esistenza di un’unità inscindibile tra mente e corpo, il filosofo concludeva che per pensare meglio dobbiamo alimentarci meglio.
Questo assunto risulta ancora più vero alla luce dell’esistenza del microbiota intestinale!
Così nelle persone che mangiano tanta carne prevalgono i Bacteroides mentre in quelli che si nutrono in abbondanza di cereali i più rappresentati sono i batteri del genere Prevotella. Se mettiamo a confronto la popolazione americana con il suo alto consumo di carne con i contadini del Malawi che mangiano mais o con i venezuelani che si nutrono di cassava è evidente la prevalenza in questi ultimi due gruppi dei Prevotella!
E ancora, i Giapponesi si sono adattati al consumo di pesce crudo albergando nel loro intestino specie di Bacteroides normalmente presenti in ambiente marino. Ovviamente noi italiani ne siamo sprovvisti e quindi male ci adattiamo a digerire sushi e sashimi!
Anche l’ambiente domestico, con il suo bel carico di microrganismi, contribuisce a far maturare il microbiota di ogni nuovo nato. La stessa Natura che ha predisposto che si nascesse per via vaginale e che si venisse alimentati attraverso il seno della mamma, ha indotto nei nostri cuccioli un comportamento istintivo che li porta ad esplorare il mondo circostante portando tutto alla bocca. Le mamme inorridiscono quando vedono i loro piccoli mettersi le dita in bocca subito dopo aver esplorato le cavità nasali!
Ma sono le stesse mamme che si sono impegnate a sterilizzare ogni singolo angolo della casa in vista del parto e della venuta a casa del nuovo nato!
Siamo alla fine degli anni ’80 quando David Strachan della St. George’s Hospital Medical School (Univesrity of London) elaborò la sua “ipotesi igienica”. Strachan aveva notato che i fratelli più piccoli che crescevano in famiglie numerose avevano una minor incidenza di malattie allergiche. Pensò dunque che il fatto di entrare in contatto, fin dalla più tenera età, con agenti infettivi trasmessigli dai fratelli più grandi potesse aiutare il Sistema Immunitario a reagire contro dei nemici veri e non contro gli acari della polvere.
In altri termini l’“ipotesi igienica” suggerisce che vivere in un’eccessiva igiene può portare a sviluppare problemi immunologici. Dal momento che i nostri macrofagi, i nostri neutrofili e i nostri linfociti non hanno modo di confrontarsi con gli agenti patogeni, virali e batterici, con i quali ci siamo coevoluti, il Sistema Immunitario finisce con il reagire contro antigeni normalmente innocui (vedi il polline, gli acari della polvere, il pelo del gatto).
Più recentemente Erika von Mutius del Children’s Hospital of the University of Munich ha messo in evidenza come il fatto di vivere in campagna riduce in maniera significativa il rischio di sviluppare asma e allergie. Probabilmente ciò accade perché i bimbi che vivono in ambiente rurale entrano da subito in contatto con la paglia, con il latte appena munto, e con certi batteri e certi funghi che non possono essere presenti in ambiente urbano.
E allora, per fare in modo che i nostri bimbi non debbano sviluppare fastidiose forme di allergie o per evitare che diventino asmatici, ecco un elenco delle cose da fare (e queste non includono l’igienizzazione degli ambienti domestici):
- Farli crescere con un cane;
- Farli entrare in contatto con ambienti rurali;
- Farli giocare all’aperto lasciando che si sporchino con la terra;
- Evitare, se possibile, il ricorso agli antibiotici;
- Fare in modo che vengano allattati al seno.
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